Dal Fondo Jean-Louis Barrault
Come agnostico non ho molto interesse per le crisi mistiche di Paul Claudel (1868-1955) che intrigarono Arthur Honegger (1892-1955), Jean-Louis Barrault (1910-1994) e Pierre Boulez (1925-2016). Forse per questo mi è stata particolarmente impegnativa la preparazione all’ascolto di Tête d’Or, che Arturo Tamayo ha presentato domenica sera al- l’Auditorio Stelio Molo, con il testo in versione italiana, assieme all’Ensemble 900 del Conservatorio e attori del settore di prosa della Rsi. Una messa in scena come radiodramma, che un centinaio di spettatori ha seguito con interesse e applaudito generosamente. Si tratta di un’opera giovanile di Claudel, scritta intorno al 1890, che narra l’epopea senza tempo e senza luogo di Simon Agnel, eroe salva patrie, che uccide un re, caccia la principessa ma alla fine la soccorre, e fra combattimenti esaltanti, ma pure fra compianti e sepolture di cadaveri trova il tempo per amare il giovane amico Cébès. Poi, al termine di tanti successi militari, riceve in premio il nome di Tête d’Or. È un’opera altamente simbolica, che risente della temperie culturale francese e riflette l’adesione di Claudel al simbolismo in letteratura, il suo sofferto rifiuto dei presupposti gnoseologici del positivismo in filosofia. Ma è materia per un libro, poco adatta a una rappresentazione teatrale, che infatti non ci fu in vita dell’autore. Arrivò postuma nel 1959 grazie all’intraprendenza di Barrault, con una musica di Honegger, che alla sua morte fu rivista per la scena da Boulez. Un evento memorabile al Théâtre de l’Odéon di Parigi, presenti il presidente della Repubblica Charles De Gaulle e il ministro della cultura André Malraux. Ma poi la fortuna di Tête d’Or, almeno come spettacolo teatrale, è stata minima, e lo si può capire. Arturo Tamayo ha voluto riesumare la musica di scena a 150 anni dalla nascita di Paul Claudel e l’ha rintracciata con fatica alla Bibliothèque Nationale de France nel Fondo Jean-Louis Barrault. Ne valeva la pena. La musica, che ha presentato in prima esecuzione assoluta, era deliziosa e, oso dire, scritta a tre mani da Honegger, Boulez e Tamayo. Lo spettacolo è stato trasmesso in diretta e il pubblico presente in sala è stato penalizzato rispetto agli ascoltatori della radio. Tamayo ha diretto un’orchestra di 17 strumentisti, dietro stavano 10 attori-lettori, con microfoni davanti, che quasi nascondevano i loro visi al pubblico. Purtroppo la loro voce era amplificata in sala con uno strano effetto eco, poco compatibile col suono dell’orchestra. Niente di grave comunque: il santo valeva ben la candela se adesso la Rsi possiede la registrazione dal vivo di uno spettacolo esclusivo, durato ben due ore, affidato a strumentisti e attori tutti degni di elogi, ai quali aggiungerei una particolare nota di merito per il re, Antonio Ballerio, e per la principessa, Lucia Donadio, la cui forza espressiva ha superato anche l’ostacolo del microfono.