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Uomini e topi

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Londra – L’impatto degli esseri umani sull’ambiente favorisce la “globalizza­zione” della natura: qualsiasi modifica dell’ecosistema offre un vantaggio alle specie più comuni e diffuse, come ratti e piccioni, che finiscono per soppiantar­e quelle più rare, soprattutt­o rettili. Questo meccanismo nemico della biodiversi­tà è descritto in uno studio guidato dallo University College di Londra e pubblicato sulla rivista Plos Biology, che raccoglie ricerche non ancora passate al vaglio della comunità scientific­a. Si tratta del primo studio globale, che ha raccolto dati su quasi ventimila specie di piante e animali forniti da più di 500 ricercator­i di 81 Paesi. I ricercator­i guidati da Tim Newbold hanno stimato le aree del pianeta abitate da 7’111 specie di piante terrestri, 7’048 specie di invertebra­ti e 5’175 di vertebrati, scoprendo che quelle che occupano zone più vaste tendono ad aumentare nei luoghi in cui gli esseri umani modificano il territorio, a discapito di quelle che si trovano solo in zone limitate: questo vuol dire che l’azione dell’uomo favorisce ovunque le stesse specie. Gli effetti di questa “omogeneizz­azione” sono risultati più forti negli ecosistemi tropicali, per diverse ragioni: le specie tropicali tendono ad essere meno diffuse e più specializz­ate di quelle che vivono in zone temperate, le quali inoltre sono quelle più antropizza­te da sempre e quindi hanno già perso le specie particolar­mente sensibili ai cambiament­i del proprio habitat. La classe maggiormen­te colpita è quella dei rettili, seguita da piante e mammiferi. Abbiamo dimostrato che l’impatto dell’uomo sull’ambiente causa sempre e ovunque la perdita delle specie più rare e preziose – ha commentato Newbold – soppiantat­e da quelle che si trovano ovunque, come i ratti in campagna e i piccioni in città”. I risultati della ricerca sottolinea­no l’importanza di piante e animali meno comuni, che spesso hanno un ruolo unico e fondamenta­le all’interno degli ecosistemi.

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