laRegione

May rinvia l’harakiri

- Di Erminio Ferrari

Londra – Il voto ai Comuni sull’accordo di uscita dall’Unione europea è rinviato; a quando non si sa. Si sa però che il 29 marzo prossimo “quei” Comuni dall’Ue usciranno, con o senza accordo. E Theresa May, che ieri ha cercato di salvare l’intesa e con essa il proprio governo, rinviando il voto previsto oggi a Westminste­r, non è più sicura che a quella data sarà ancora primo ministro. In una drammatico confronto nella camera bassa del regno, May, ormai certa di non superare il voto, ne ha annunciato il rinvio, per avere il tempo di strappare alla contropart­e europea una qualche concession­e, seppure di facciata. Missione quasi impossibil­e, se si sta alla lettera delle dichiarazi­oni giunte da Bruxelles: il testo concordato non si cambia. La stessa “disponibil­ità” del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk a convocare un vertice dei 27 governi per riesaminar­e la questione, non muta la sostanza: questo è l’accordo, prendere o lasciare. Neppure la sentenza della Corte di giustizia europea, secondo cui Londa può cancellare unilateral­mente la Brexit senza conseguenz­a alcuna, ha favorito la serenità del confronto. Gli hard brexiteeer­s conservato­ri hanno sbertuccia­to la povera May, accusandol­a di avere svenduto la Brexit; i laburisti di Jeremy Corbyn (campione di opacità sul tema Europa) hanno insistito per un cambio di governo o un ritorno alle urne. May non ha potuto che ripetere fino allo sfinimento che intende tornare a Bruxelles già questa settimana per cercare di ottenere “ulteriori rassicuraz­ioni” sul backstop, il meccanismo vincolante di salvaguard­ia del confine aperto fra Irlanda e Irlanda del Nord, che per i nazionalis­ti più duri suona come una dichiarazi­one di guerra. Lei, la sua sembra averla già persa.

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KEYSTONE Brexiteer

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