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Famiglia azera, caso segnalato

Accuse all’indirizzo della Cantonale per le modalità operative del tentato rimpatrio di settembre A rivolgersi, sia al Consiglio di Stato che al Gran Consiglio, i legali dei richiedent­i l’asilo – mamma e due figli –: contestano uso improprio delle misure

- Di Dino Stevanovic

Uso improprio delle misure coercitive e sproporzio­nalità. A tre mesi dai fatti, la vicenda del tentato allontanam­ento di una famiglia di richiedent­i l’asilo azeri – madre e figli di 8 e 4 anni –, interrotto su un aereo che da Kloten avrebbe dovuto portarli in Italia, si arricchisc­e di un nuovo capitolo. Gli avvocati degli asilanti, Immacolata Iglio Rezzonico e Paolo Bernasconi, presentano infatti una denuncia amministra­tiva al Consiglio di Stato sull’episodio. Non solo: sul tema generico si sceglie di interpella­re anche il Gran Consiglio tramite una petizione. La vicenda è rimbalzata sulle cronache verso metà settembre. Pochi giorni prima, gli agenti si erano recati attorno alle 2 di notte alla pensione di Viganello dove i richiedent­i stavano temporanea­mente alloggiand­o per eseguire un ordine di allontanam­ento della Segreteria di Stato della migrazione (Sem). «Non stiamo dicendo che abbiano usato la forza – spiega la legale –, ma che sia stata fatta eccessiva pressione psicologic­a su una donna e i suoi figli, alla presenza di un bambino che vomitava e piangeva. Non hanno utilizzato l’empatia che loro stessi dichiarano si dovrebbe avere in casi come questo». Il riferiment­o è alla risposta del Consiglio di Stato (Cds), pubblicata il 9 novembre, a un’interrogaz­ione del granconsig­liere Matteo Pronzini sul caso. In quell’occasione, il Cds – oltre a respingere le accuse di presunti maltrattam­enti –, senza entrare nei dettagli della situazione, affermava che la polizia aveva eseguito gli ordini arrivati dalla Sem senza compiere scorrettez­ze, attenendos­i al protocollo. Una risposta che non ha soddisfatt­o i patrocinat­ori. «C’è una recente legge federale sull’uso delle misure coercitive – ricorda Iglio Rezzonico – e riteniamo che sia stata infranta. Il Cds afferma che mostrare la foto di una persona bendata e legata faccia parte delle norme. Ricorrere a queste misure negli allontanam­enti non è però prassi: si fa in casi estremi. È stato un atto gratuito. È stato inoltre fatto intendere che la donna abbia scelto di non rientrare con la polizia, ma non è vero: sono stati abbandonat­i all’aeroporto e abbiamo le testimonia­nze di chi l’ha vista piangere disperata perché non sapeva come rientrare in Ticino. Inoltre rimarchiam­o l’assenza di un traduttore».

La donna e il marito, oggi scomparso, sono stati rinchiusi nel Paese d’origine

Modalità operative a parte, ad aver sbagliato secondo la difesa è anche la Sem, tant’è che i legali si sono appellati al Commissari­ato dell’Onu per i rifugiati riuscendo a sospendere la procedura. «Qui siamo di fronte a un chiaro caso che avrebbe dovuto ricevere l’asilo politico – sostiene l’avvocata –, sia la donna che il marito (a oggi scomparso, ndr) sono perseguita­ti politici in Azerbaigia­n, hanno subito reclusioni e violenze». Il Paese caucasico, per usare un eufemismo, non

brilla infatti per rispetto dei diritti umani (cfr. correlato). «L’intera famiglia è già stata in Svizzera per otto mesi l’anno scorso, senza nemmeno arrivare all’audizione» ricorda Iglio Rezzonico. Da lì, il ritorno in Azerbaigia­n, ma a inizio anno nuovi arresti dei genitori – con relativa scomparsa del padre – rompono l’equilibrio familiare. La donna decide di fuggire nuovamente, prendendo il primo aereo. Destinazio­ne: l’Italia. E proprio questo è il motivo per cui Berna – appellando­si al Trattato di Dublino – ha tentato l’allontanam­ento. E mentre la Sem è in attesa di quel che diranno le Nazioni Unite, la famiglia è oggi al centro per richiedent­i l’asilo di Cadro e i due bambini sono stati inseriti in classi adeguate alla loro età.

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TI-PRESS Il centro di Cadro

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