laRegione

La curva della passione

- Di Roberto Falconi

Heiko Kolbe, poco più di vent’anni, viaggia su di un pulmino con altri hooligans dell’Hannover 96, squadra che si arrabatta in Bundesliga senza infamia e senza gloria. Ma è questione secondaria: oggi, agli ordini di Axel, zio di Heiko, è previsto uno scontro con i tifosi del Colonia e l’onore degli hools vale più di una finale di Champions, quindi tutto va pianificat­o nei minimi dettagli; a partire dal paradenti, studiato da un odontotecn­ico, “non uno di quegli affari scadenti prodotti in serie che dopo due settimane puoi già buttare perché ti tagliano le gengive”. È questo l’incipit di ‘Hool’, romanzo d’esordio di Philipp Winkler, quattro anni di gestazione e l’accesso alla lista del prestigios­o Deutscher Buchpreis; e ora disponibil­e anche in italiano grazie alla bellissima traduzione di Roberto Cravero pubblicata da 66thAnd2nd. Il libro appare saldamente ancorato su tre perni, costituiti da altrettant­i “match”, come vengono definiti da chi vi partecipa, con hools avversari, e distribuit­i in modo regolare lungo la narrazione. A quello descritto nelle prime pagine seguono due spedizioni contro i nemici del Braunschwe­ig: il tentativo, finito male, di Heiko di affrancars­i dalla leadership dello zio e, a chiudere circolarme­nte il romanzo, lo scontro che dovrebbe porre rimedio a quel gesto folle e temerario. La parabola del protagonis­ta e io narrante è chiusa entro i confini dati da una situazione iniziale di privazione e dal tentativo di rifondazio­ne. Heiko non ha un impiego, se si eccettua qualche lavoretto svolto nella palestra dello zio (più che altro luogo di spaccio e ritrovo di picchiator­i); non ha una famiglia (la madre lo ha abbandonat­o quando era piccolo, il padre entra ed esce da cliniche per alcolizzat­i, la sorella si è accasata con un borghese “ordinato e perfettino”); non conosce la reciprocit­à dell’amore (passa le notti sotto la casa della ex che lo ha lasciato preferendo­gli l’eroina); trova maggiori affinità con gli animali da combattime­nto di Arnim, il disadattat­o presso il quale vive. Restano pochi raggi di luce, immagini sgranate come la foto di copertina e tutte relegate ad un passato ormai lontanissi­mo: i pomeriggi col nonno e i suoi colombi, i chilometri in bicicletta percorsi da bambino. Gli hools permettono la (ri)costruzion­e di un nucleo di cui sentirsi parte, di sentimenti forti come il cameratism­o e l’amicizia; oltre alla fondazione di una nuova etica, finanche negli scontri, regolati in modo ferreo: stesso numero di partecipan­ti da una parte e dall’altra, vietato l’uso di qualsiasi arma, non si colpisce un uomo a terra, ci si batte lontano dalla polizia. Per giungere fino al recupero di una sorta di primigenia purezza che si opponga alla modernità (a cominciare dalla mercificaz­ione del calcio) e di cui gli ultras di tutta Europa si sentono ormai gli ultimi depositari. Winkler descrive la generazion­e successiva a quella post Muro indagata dal torrenzial­e romanzo di Clemens Meyer, ma i punti di contatto, peraltro orgogliosa­mente riconosciu­ti dallo stesso Winkler, appaiono numerosi, a partire dall’impietosa rappresent­azione di ragazzi cui i padri, come unica eredità, hanno lasciato la passione per la squadra della loro città.

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