La curva della passione
Heiko Kolbe, poco più di vent’anni, viaggia su di un pulmino con altri hooligans dell’Hannover 96, squadra che si arrabatta in Bundesliga senza infamia e senza gloria. Ma è questione secondaria: oggi, agli ordini di Axel, zio di Heiko, è previsto uno scontro con i tifosi del Colonia e l’onore degli hools vale più di una finale di Champions, quindi tutto va pianificato nei minimi dettagli; a partire dal paradenti, studiato da un odontotecnico, “non uno di quegli affari scadenti prodotti in serie che dopo due settimane puoi già buttare perché ti tagliano le gengive”. È questo l’incipit di ‘Hool’, romanzo d’esordio di Philipp Winkler, quattro anni di gestazione e l’accesso alla lista del prestigioso Deutscher Buchpreis; e ora disponibile anche in italiano grazie alla bellissima traduzione di Roberto Cravero pubblicata da 66thAnd2nd. Il libro appare saldamente ancorato su tre perni, costituiti da altrettanti “match”, come vengono definiti da chi vi partecipa, con hools avversari, e distribuiti in modo regolare lungo la narrazione. A quello descritto nelle prime pagine seguono due spedizioni contro i nemici del Braunschweig: il tentativo, finito male, di Heiko di affrancarsi dalla leadership dello zio e, a chiudere circolarmente il romanzo, lo scontro che dovrebbe porre rimedio a quel gesto folle e temerario. La parabola del protagonista e io narrante è chiusa entro i confini dati da una situazione iniziale di privazione e dal tentativo di rifondazione. Heiko non ha un impiego, se si eccettua qualche lavoretto svolto nella palestra dello zio (più che altro luogo di spaccio e ritrovo di picchiatori); non ha una famiglia (la madre lo ha abbandonato quando era piccolo, il padre entra ed esce da cliniche per alcolizzati, la sorella si è accasata con un borghese “ordinato e perfettino”); non conosce la reciprocità dell’amore (passa le notti sotto la casa della ex che lo ha lasciato preferendogli l’eroina); trova maggiori affinità con gli animali da combattimento di Arnim, il disadattato presso il quale vive. Restano pochi raggi di luce, immagini sgranate come la foto di copertina e tutte relegate ad un passato ormai lontanissimo: i pomeriggi col nonno e i suoi colombi, i chilometri in bicicletta percorsi da bambino. Gli hools permettono la (ri)costruzione di un nucleo di cui sentirsi parte, di sentimenti forti come il cameratismo e l’amicizia; oltre alla fondazione di una nuova etica, finanche negli scontri, regolati in modo ferreo: stesso numero di partecipanti da una parte e dall’altra, vietato l’uso di qualsiasi arma, non si colpisce un uomo a terra, ci si batte lontano dalla polizia. Per giungere fino al recupero di una sorta di primigenia purezza che si opponga alla modernità (a cominciare dalla mercificazione del calcio) e di cui gli ultras di tutta Europa si sentono ormai gli ultimi depositari. Winkler descrive la generazione successiva a quella post Muro indagata dal torrenziale romanzo di Clemens Meyer, ma i punti di contatto, peraltro orgogliosamente riconosciuti dallo stesso Winkler, appaiono numerosi, a partire dall’impietosa rappresentazione di ragazzi cui i padri, come unica eredità, hanno lasciato la passione per la squadra della loro città.