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Petite France, grande Europe

- Di Dino Stevanovic

È l’8 dicembre. A tre giorni dal doloroso attentato terroristi­co che la squarcerà (cfr. pagina 7), Strasburgo colpisce. Il freddo Avvento renano è reso ancor più pungente dalla massiccia presenza di polizia ed esercito, armati fino ai denti. Un dispiego emotivamen­te ambiguo: forze dell’ordine che per definizion­e garantisco­no sicurezza, ma che allo stesso tempo ci ricordano che c’è un pericolo. Qualcosa che non va. A partire forse dai controlli: dall’ingresso nella maestosa cattedrale gotica agli accessi della città vecchia – teatro della sparatoria –, risultano superficia­li e col senno di poi sicurament­e inadeguati. «Potrei portare dentro una bomba, non se ne accorgereb­be nessuno», commenta una donna in fila. La visita alla città inizia dal Museo storico. Un interessan­te percorso che termina col dopoguerra. Secoli di battaglie per una città di frontiera, passata da una vocazione militare a luogo simbolo della Pax Europea. Eppure, l’impression­e è stata che mancasse un tassello della storia più recente. Il pezzo di un mosaico essenziale per comprender­e il contrasto fra l’ovattato caldo museale e le gelide vie di una città che più che in festa sembra in guerra. L’11 dicembre, per l’ennesima volta la Francia si è coricata impaurita. In lacrime. E con lei tutti noi. Perché il capoluogo alsaziano non è un posto qualsiasi. Nata come accampamen­to militare romano, Strasburgo ha assunto importanza dal Medioevo. Divenne francese sotto il Re Sole, a fine Seicento, restando estranea agli orrori delle guerre di religione e delle stragi di ugonotti: i calvinisti transalpin­i. Si mantenne quindi tollerante nei confronti del protestant­esimo. Un’attitudine all’apertura verso le altre confession­i viva ancor’oggi: la città ospita la più grande moschea del Paese. Terra d’incontro fra cultura tedesca e francese, Strasburgo è frequentat­issima dalle scolaresch­e, anche ticinesi. Con una tradizione che sembrerebb­e risalire al Cinquecent­o, è inoltre meta d’obbligo per gli amanti dei mercatini natalizi. Elementi che contribuis­cono a rendere la città familiare per molti di noi, anche solo per sentito dire. La Petite France – il caratteris­tico quartiere d’impronta medievale, parte del centro storico da trent’anni protetto dall’Unesco – è nell’immaginari­o collettivo, come lo sono le sue case a graticcio e le vie splendidam­ente ornate in questo periodo dell’anno. Non è una metropoli Strasburgo, ma è la più europea delle città francesi e forse di tutto il continente. Un luogo dove tutti, anche noi svizzeri, ci sentiamo almeno un po’ a casa. Non è solo la sede dell’europarlam­ento, del Consiglio d’Europa o della Corte europea dei diritti dell’uomo. È soprattutt­o un perno vivente e pulsante dei sentimenti che hanno portato alla fondazione di queste istituzion­i, oggi parzialmen­te in affanno e messe in discussion­e. Ideali che qui – in una regione contesa da Germania e Francia, tra i casus belli delle guerre mondiali –, diversamen­te da altrove, sono nati in maniera naturale. Tolleranza, condivisio­ne, apertura, pacifismo: si sono sviluppati a Strasburgo come risposta logica e consequenz­iale alla sua travagliat­a storia. Per questo ha fatto male vedere la città pattugliat­a dai mitra lo scorso fine settimana e sempre per questo hanno fatto ancor più male le immagini di morte e paura trasmesse pochi giorni dopo. E il pensiero corre ancora agli ideali. E poi va alla radicalizz­azione del giovane autore della sparatoria, così lontana da quelli che sono diventati valori europei. Non di una comunità economica e politica, ma lo spirito di un continente che una volta in più si trova ferito, forse impreparat­o, con tante domande. E con una città a far da faro nel buio.

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