I paperoni e i paperini svizzeri
Negli scorsi giorni è apparsa la notizia, di per sé non sorprendente, ma che comunque conferma (...)
una tendenza preoccupante, secondo cui i miliardari svizzeri sono diventati ancora più ricchi in questi ultimi due anni. Ciò, a non averne dubbio, in perfetta corrispondenza aritmetica con la diminuzione della retribuzione del ceto medio e della sua precarizzazione. E tra chi tira le fila di questo perverso meccanismo non si può non annoverare la Posta, Swisscom e anche le Ffs. Continuo a sentire di postini le cui retribuzioni sono spinte verso il limite basso di quello che dovrebbe essere il salario minimo, secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, vale a dire Chf 3’200.–. Ora, di principio, un’azienda può fare quello che vuole e si autoregola nel mercato. Così sostengono i liberisti. Tuttavia queste aziende sono al 51% di proprietà della Confederazione. Sorprende quindi, ma di nuovo non più di tanto, che la Confederazione in quanto azionista di maggioranza di queste società accetti, anzi avalli, queste diminuzioni reali di retribuzione, perlomeno per quanto riguarda i rapporti di impiego degli ultimi anni. Di nuovo questo meccanismo premia con ogni evidenza la redditività dei titoli azionari e quindi di chi opera in Borsa. È per questo che i paperoni diventano sempre più ricchi e i paperini sempre più poveri. Del resto se il datore di lavoro Confederazione dà il cattivo esempio, come possiamo pretendere comportamenti più virtuosi dalle imprese private? Fino a pochi anni fa la Svizzera sembrava lontana da simili dinamiche che la fanno entrare, come direbbe Dürrenmatt, nella “storia” comune agli altri paesi. Il dramma è che nella classe politica, quindi non solo all’interno del Consiglio federale dove il tema sembra essere tabù, l’argomento non assume interesse. Siamo tuttavia di fronte a dei meccanismi chiaramente contraddittori nel senso che, a parole, tutti i partiti si schierano per il benessere della popolazione ma poi, concretamente, non fanno nulla e non pongono il tema tra le priorità delle proprie agende politiche. Per semplificare c’è chi insiste principalmente sull’identità nazionale, chi sul tema del frontalierato e chi ancora sul disagio sociale e quindi sugli interventi assistenzialisti. Forse i Verdi sono gli unici, tra i partiti ticinesi, che perseguono una certa politica a fianco alle tematiche ambientali. A mio modo di vedere, fare di tutto per salvaguardare la retribuzione e, quindi, il potere d’acquisto reale del ceto medio, risparmiandolo dagli appetiti voraci dei prìncipi del mercato, rappresenta la vera sfida per il prossimo futuro e costituisce il tema centrale della prossima campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio di Stato e del Gran Consiglio. Resto comunque sorpreso di come questo tema rimanga confinato agli addetti ai lavori, segnatamente ai sindacati di settore e non assurga a vera e propria emergenza, a maggior ragione nel nostro cantone che subisce, in aggiunta, l’influenza nefasta delle basse retribuzioni della vicina penisola. Questo dumping dalla doppia causa, interna ed esterna, non fa che aumentare le schiere, invero già nutrite, di persone che ricorrono all’aiuto della pubblica assistenza. Il tutto di fronte a grandi azionisti che non sanno più come spendere i propri miliardi. Vedremo chi saprà o vorrà raccogliere questa sfida cruciale nei prossimi anni per il benessere di cui noi svizzeri, sempre con tanto, forse troppo orgoglio, siamo andati fieri. La realtà è che stiamo perdendo il nostro equilibrio per favorire l’ingordigia di pochi e la passività complice di molti addetti alla politica, ad ogni livello. Sono pessimista, ma vorrei tanto credere ancora a Gesù Bambino. Buon Natale a tutti.