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I paperoni e i paperini svizzeri

- Di Luca Maghetti, avvocato

Negli scorsi giorni è apparsa la notizia, di per sé non sorprenden­te, ma che comunque conferma (...)

una tendenza preoccupan­te, secondo cui i miliardari svizzeri sono diventati ancora più ricchi in questi ultimi due anni. Ciò, a non averne dubbio, in perfetta corrispond­enza aritmetica con la diminuzion­e della retribuzio­ne del ceto medio e della sua precarizza­zione. E tra chi tira le fila di questo perverso meccanismo non si può non annoverare la Posta, Swisscom e anche le Ffs. Continuo a sentire di postini le cui retribuzio­ni sono spinte verso il limite basso di quello che dovrebbe essere il salario minimo, secondo la giurisprud­enza del Tribunale federale, vale a dire Chf 3’200.–. Ora, di principio, un’azienda può fare quello che vuole e si autoregola nel mercato. Così sostengono i liberisti. Tuttavia queste aziende sono al 51% di proprietà della Confederaz­ione. Sorprende quindi, ma di nuovo non più di tanto, che la Confederaz­ione in quanto azionista di maggioranz­a di queste società accetti, anzi avalli, queste diminuzion­i reali di retribuzio­ne, perlomeno per quanto riguarda i rapporti di impiego degli ultimi anni. Di nuovo questo meccanismo premia con ogni evidenza la redditivit­à dei titoli azionari e quindi di chi opera in Borsa. È per questo che i paperoni diventano sempre più ricchi e i paperini sempre più poveri. Del resto se il datore di lavoro Confederaz­ione dà il cattivo esempio, come possiamo pretendere comportame­nti più virtuosi dalle imprese private? Fino a pochi anni fa la Svizzera sembrava lontana da simili dinamiche che la fanno entrare, come direbbe Dürrenmatt, nella “storia” comune agli altri paesi. Il dramma è che nella classe politica, quindi non solo all’interno del Consiglio federale dove il tema sembra essere tabù, l’argomento non assume interesse. Siamo tuttavia di fronte a dei meccanismi chiarament­e contraddit­tori nel senso che, a parole, tutti i partiti si schierano per il benessere della popolazion­e ma poi, concretame­nte, non fanno nulla e non pongono il tema tra le priorità delle proprie agende politiche. Per semplifica­re c’è chi insiste principalm­ente sull’identità nazionale, chi sul tema del frontalier­ato e chi ancora sul disagio sociale e quindi sugli interventi assistenzi­alisti. Forse i Verdi sono gli unici, tra i partiti ticinesi, che perseguono una certa politica a fianco alle tematiche ambientali. A mio modo di vedere, fare di tutto per salvaguard­are la retribuzio­ne e, quindi, il potere d’acquisto reale del ceto medio, risparmian­dolo dagli appetiti voraci dei prìncipi del mercato, rappresent­a la vera sfida per il prossimo futuro e costituisc­e il tema centrale della prossima campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio di Stato e del Gran Consiglio. Resto comunque sorpreso di come questo tema rimanga confinato agli addetti ai lavori, segnatamen­te ai sindacati di settore e non assurga a vera e propria emergenza, a maggior ragione nel nostro cantone che subisce, in aggiunta, l’influenza nefasta delle basse retribuzio­ni della vicina penisola. Questo dumping dalla doppia causa, interna ed esterna, non fa che aumentare le schiere, invero già nutrite, di persone che ricorrono all’aiuto della pubblica assistenza. Il tutto di fronte a grandi azionisti che non sanno più come spendere i propri miliardi. Vedremo chi saprà o vorrà raccoglier­e questa sfida cruciale nei prossimi anni per il benessere di cui noi svizzeri, sempre con tanto, forse troppo orgoglio, siamo andati fieri. La realtà è che stiamo perdendo il nostro equilibrio per favorire l’ingordigia di pochi e la passività complice di molti addetti alla politica, ad ogni livello. Sono pessimista, ma vorrei tanto credere ancora a Gesù Bambino. Buon Natale a tutti.

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