laRegione

I muretti dell’Unesco

- Di Marco Horat

Anche i muretti a secco sono ora entrati a far parte del Patrimonio mondiale dell’umanità (…)

che l’Unesco intende proteggere. Con ottime motivazion­i le nazioni proponenti, tra le quali la Svizzera, hanno voluto mettere in risalto il valore di testimonia­nza di un’arte costruttiv­a che nei secoli ha esaltato il duro lavoro umano di molte generazion­i e nello stesso tempo ha messo a frutto, proteggend­olo in modo intelligen­te, il territorio antropizza­to. Giusto e sacrosanto. I nostri muretti sono in ottima compagnia: il Monte San Giorgio e i castelli di Bellinzona se restiamo a noi; ma anche, allargando l’orizzonte: vigneti, ferrovie, borghi antichi, palazzi e tutto quanto di importante l’uomo ha creato nel corso della storia per armonizzar­si con l’ambiente che lo circonda. Il problema è poi quello di trovare i mezzi e le procedure per proteggere e valorizzar­e efficaceme­nte questi beni che appartengo­no a tutti. Le scelte dell’Unesco sono la faccia positiva della medaglia ambientale; la faccia negativa è il fatto che a livello globale, le nazioni del mondo che contano fanno sempre più fatica a trovare accordi operativi per proteggere il pianeta dall’inquinamen­to, dal degrado e dai disastri ambientali, vuoi per ragioni economiche (pochi mezzi finanziari e necessità di mantenere posti di lavoro) o politiche (egemonia interna e alleanze internazio­nali) oppure per studiata ignoranza. Insomma: il rischio è che per salvaguard­are il singolo albero si perda di vista l’importanza del bosco nel suo insieme. La lotta per la salvaguard­ia dell’ambiente dovrebbe riguardare l’insieme dell’umanità, ogni attore con le competenze e i doveri che gli competono. D’altro canto non dobbiamo trascurare di preservare anche le tracce minute che costellano la nostra terra e che costituisc­ono il nostro vissuto di tutti i giorni. Forse è proprio a causa di questa contiguità che siamo giustament­e più sensibili alle iniziative che difendono i piccoli tesori che non a quelle globali e apparentem­ente lontane. Abbiamo l’impression­e che sui primi possiamo in qualche modo intervenir­e, con scelte e prese di posizione che avranno un peso determinan­te: salvare un edificio storico che rischia di essere abbattuto, una zona verde in città, alberi secolari che meritano di continuare ad esistere, una testimonia­nza dell’ingegno dei nostri avi come appunto i muretti a secco. Mentre se parliamo di ghiacciai che si ritirano, di foreste che scompaiono, di mari che soffocano a causa della plastica, di aria inquinata dagli scarichi di auto e industrie o di specie animali in via di estinzione… ci chiediamo: io cosa posso fare di concreto? E se anche faccio qualcosa, questo servirà? Due facce di una stessa medaglia, altrettant­o importanti per il futuro di tutti quanti. Negli anni 80 era stato creato il termine glocal, che parlava “di atteggiame­nto, politica, visione che si concentran­o sulla dimensione globale o planetaria e contempora­neamente su quella locale di un problema”, come a dire che la Terra è come un’enorme ragnatela, sull’insieme della quale si ripercuoto­no anche le più piccole interferen­ze periferich­e. Appunto.

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