I muretti dell’Unesco
Anche i muretti a secco sono ora entrati a far parte del Patrimonio mondiale dell’umanità (…)
che l’Unesco intende proteggere. Con ottime motivazioni le nazioni proponenti, tra le quali la Svizzera, hanno voluto mettere in risalto il valore di testimonianza di un’arte costruttiva che nei secoli ha esaltato il duro lavoro umano di molte generazioni e nello stesso tempo ha messo a frutto, proteggendolo in modo intelligente, il territorio antropizzato. Giusto e sacrosanto. I nostri muretti sono in ottima compagnia: il Monte San Giorgio e i castelli di Bellinzona se restiamo a noi; ma anche, allargando l’orizzonte: vigneti, ferrovie, borghi antichi, palazzi e tutto quanto di importante l’uomo ha creato nel corso della storia per armonizzarsi con l’ambiente che lo circonda. Il problema è poi quello di trovare i mezzi e le procedure per proteggere e valorizzare efficacemente questi beni che appartengono a tutti. Le scelte dell’Unesco sono la faccia positiva della medaglia ambientale; la faccia negativa è il fatto che a livello globale, le nazioni del mondo che contano fanno sempre più fatica a trovare accordi operativi per proteggere il pianeta dall’inquinamento, dal degrado e dai disastri ambientali, vuoi per ragioni economiche (pochi mezzi finanziari e necessità di mantenere posti di lavoro) o politiche (egemonia interna e alleanze internazionali) oppure per studiata ignoranza. Insomma: il rischio è che per salvaguardare il singolo albero si perda di vista l’importanza del bosco nel suo insieme. La lotta per la salvaguardia dell’ambiente dovrebbe riguardare l’insieme dell’umanità, ogni attore con le competenze e i doveri che gli competono. D’altro canto non dobbiamo trascurare di preservare anche le tracce minute che costellano la nostra terra e che costituiscono il nostro vissuto di tutti i giorni. Forse è proprio a causa di questa contiguità che siamo giustamente più sensibili alle iniziative che difendono i piccoli tesori che non a quelle globali e apparentemente lontane. Abbiamo l’impressione che sui primi possiamo in qualche modo intervenire, con scelte e prese di posizione che avranno un peso determinante: salvare un edificio storico che rischia di essere abbattuto, una zona verde in città, alberi secolari che meritano di continuare ad esistere, una testimonianza dell’ingegno dei nostri avi come appunto i muretti a secco. Mentre se parliamo di ghiacciai che si ritirano, di foreste che scompaiono, di mari che soffocano a causa della plastica, di aria inquinata dagli scarichi di auto e industrie o di specie animali in via di estinzione… ci chiediamo: io cosa posso fare di concreto? E se anche faccio qualcosa, questo servirà? Due facce di una stessa medaglia, altrettanto importanti per il futuro di tutti quanti. Negli anni 80 era stato creato il termine glocal, che parlava “di atteggiamento, politica, visione che si concentrano sulla dimensione globale o planetaria e contemporaneamente su quella locale di un problema”, come a dire che la Terra è come un’enorme ragnatela, sull’insieme della quale si ripercuotono anche le più piccole interferenze periferiche. Appunto.