laRegione

La pavidità del male

- Di Lorenzo Erroi

“Quando persone prive di documenti, ‘presumibil­i’ richiedent­i l’asilo, stranieri in transito o persone (…)

Segue dalla Prima (…) ‘sospette’ si recano al Pronto soccorso, chiedo sistematic­amente di chiamare i seguenti numeri telefonici e indicare la situazione con tutte le informazio­ni…”. Seguono i numeri della polizia e del Centro flussi migratori di Chiasso. Quando non c’è qualcuno che voglia metterci la faccia, è con circolari come questa che si fanno girare gli ingranaggi della politica. Un foglio con poche parole da appendere al sughero d’una bacheca, nell’attesa che lo zelo degli ubbidienti faccia il suo corso e proceda alla delazione, seguita magari da schedatura. E nella speranza che nessuno se ne accorga, naturalmen­te: ché la richiesta del Dss agli ospedali rischia di calpestare la tutela del segreto medico, diritto del paziente e dovere del personale sanitario, in entrambi i casi inviolabil­e. Di questi tempi aleggia un clima di ostilità nei confronti di asilanti e stranieri in genere, lo rivelano già certe parole: pur col beneficio delle virgolette, definirli persone “sospette” (di cosa?) è un lapsus che la dice lunga. Qui non si tratta di crocifigge­re chi ha redatto il testo, il poveretto avrà pur dovuto anche lui ubbidire a qualcun altro. Semmai occorre notare come di questi comunicati, circolari, linee guida, regolament­i sia lastricata la via per l’inferno: di fronte a una sfida globale si prende tempo firmando una miriade di ordini operativi, con truci e sorde conseguenz­e; da politica, la guerra al migrante diventa sempre più spesso burocratic­a. Alzando gli occhi dai piedi locali di questa montagna di carte, si vede quanto alta ne sia la vetta e quanto sia difficile, per chi la deve scalare, cartografa­rne le gole. Anche una volta passata la frontiera ed evitati i frequenti respingime­nti – non di rado effettuati con una misura d’arbitrio – ci si trova di fronte alla Segreteria di Stato della migrazione. Spesso tocca dimostrare che si è in fuga dalla violenza e non dalla fame, come se morire di fame fosse tanto meglio di beccarsi una pallottola o il fendente d’un machete. Che non sia facile lo dimostra fra gli altri il caso dei richiedent­i asilo eritrei, che all’improvviso si è deciso di trattare come migranti economici, nonostante a “casa loro” li aspettino nel migliore dei casi i lavori forzati con la divisa dell’esercito. Se va storta, ci sono i ricorsi ai vari tribunali. Ci vuole un buon avvocato, bisogna capire un sistema che ti gioca contro. Anche per colpa di quel regolament­o di Dublino che vorrebbe rispedire tutti dove sono sbarcati, smazzando la ‘pepatencia’ a Paesi di frontiera come l’Italia, dimostrata­si così tristement­e impreparat­a e progressiv­amente abbandonat­a a se stessa. Un sistema ingiusto, ma anche ottuso, dato che al posto dei rimpatri produce clandestin­i. Di solito a questo punto si scomodano Hannah Arendt e la banalità del male, a sottolinea­re come l’ingiustizi­a inflitta da un sistema a un individuo sia il risultato, più che di atti consapevol­i e deliberati, di una filiera anonima nella quale ognuno ubbidisce a degli ordini. Qui però, più che di banalità, si tratta di pavidità. La pavidità di rappresent­anti politici che schivano la scelta fra giustizia e popolarità. Che diventano essi stessi anonimi passacarte invece di presentare esplicitam­ente una visione chiara, quale che essa sia. Fortunatam­ente ci sono ancora alcuni medici e deputati che fanno sentire la loro voce. Poi il lettore può anche decidere che non gliene frega niente, che non sta alla Svizzera o all’Europa farsi carico di problemi altrui, che c’è ben altro di cui preoccupar­si. Non si illuda, però: la stessa indifferen­za, la stessa pavidità della politica non investe solo i migranti. Chiunque si trovasse ad essere un ‘peso’ per la società e per i suoi rappresent­anti, anche solo perché le circostanz­e della vita non gli permettono di arrivare alla fine del mese, rischia di vedersi riservato lo stesso trattament­o, come sa chiunque abbia provato ad accedere agli aiuti sociali (a proposito: dov’è finita la gloriosa vocazione sociale popolar-democratic­a? Forse è diventato più importante polemizzar­e sui radar e sulle “radici” minacciate da presunti mangiapret­i). Come finiva quel famoso sermone del pastore Niemöller? “Poi un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Occhio.

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