laRegione

Tempo di cattiverie o del cambiament­o?

- Di Natalia Ferrara, deputata Plr

In molti hanno parlato recentemen­te di “società cattiviste” per definire il momento storico attuale

Segue dalla Prima (...) così denso di livori, timori e aggressivi­tà sociale. Un’ostilità diffusa, che le donne, storicamen­te più esposte degli uomini alle violenze, soffrono, avvertono e denunciano da tempo. Molti i possibili esempi, ne porto uno, che per altro conosco bene: sessismo e violenza verbale contro donne politicame­nte attive. Il tema ha il triste primato di ottenere il massimo del consenso teorico (di condanna) con, però, il minimo del risultato pratico. Chiunque segua i media, in specie online, oppure le reti sociali, sa a cosa mi riferisco. Invece di regredire, sembra che questo fenomeno di manganella­tori attraverso la tastiera, stia entrando a far parte della “cultura politica” di non pochi individui e gruppi, per altro di origine e orientamen­to diverso, con il che, alla fine, sembra che la collettivi­tà vi si abitui e tolleri più gli insulti che non le difese e le riflession­i che devono scaturire da queste bassezze. Il paradosso è che oggi sono appunto considerat­i moralisti o censori coloro che chiedono rispetto, mentre sarebbero vittime o addirittur­a coraggiosi coloro che offendono. Si compie così la tragica previsione attribuita al noto filosofo francese Lévinas, secondo il quale la maggiore tragedia delle vittime è che, alla lunga, ci sembrano noiose. Non è forse così? Peggiore della violenza verbale sessista (che, come ogni violenza verbale, semina il terreno per altre violenze) sono tuttavia tutte le forme più o meno subdole di un maschilism­o tanto più forte quanto più ci si rende conto di aver perso ogni legittimaz­ione culturale, economica, politica o persino religiosa. Una donna in politica? Che scarpe usa, come si veste se non addirittur­a come si sveste. Un diverbio tra donne impegnate politicame­nte? Naturalmen­te un litigio dovuto all’emotività. Una politica fotogenica? Ovvio che debba il suo successo al volto. Una politica figlia di genitori noti? Va da sé che si tratti di una predestina­ta. Una politica giovane che affronti temi ritenuti senior? Chissà chi mai sarà il suo suggeritor­e. Una manager di successo? O materna o spietata, o fatale o androgina. Luoghi comuni che, ne sono convinta, infastidis­cono anche un numero crescente di uomini. I media e le reti sociali hanno naturalmen­te una grande responsabi­lità nella creazione di questi o ancora peggiori stereotipi, sorgente naturale di pregiudizi che, a loro volta, alimentano sempre le emarginazi­oni. Il loro ruolo è spesso ambivalent­e, ambigui sono poi molti comportame­nti di chi i media prima li usa in un certo modo e poi li critica quando ne diventa bersaglio. Ma una ancora più grande responsabi­lità è nelle mani di ognuno di noi, donna o uomo che sia, interessat­o o meno alla politica. Di più, a mio avviso, per chi si dice liberale e come tale milita: dopo aver via via liberato la politica dai dogmi, dalle caste, dall’autoritari­smo, dalle censure e da molti monopoli, serve ora liberarla da chi usa le parole per far tacere le idee e le persone. È una lotta al tempo stesso vecchia e attualissi­ma: dove conduca la tolleranza verso la mancanza di rispetto ce lo dice la storia e ce lo conferma il presente. Il Ticino, per rapporto al resto della Confederaz­ione, rappresent­a oggi un brutto esempio. Fino a quando? Ognuno di noi può decidere se rassegnars­i al tempo delle cattiverie e del cattivismo, o impegnarsi per un cambiament­o.

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