Tempo di cattiverie o del cambiamento?
In molti hanno parlato recentemente di “società cattiviste” per definire il momento storico attuale
Segue dalla Prima (...) così denso di livori, timori e aggressività sociale. Un’ostilità diffusa, che le donne, storicamente più esposte degli uomini alle violenze, soffrono, avvertono e denunciano da tempo. Molti i possibili esempi, ne porto uno, che per altro conosco bene: sessismo e violenza verbale contro donne politicamente attive. Il tema ha il triste primato di ottenere il massimo del consenso teorico (di condanna) con, però, il minimo del risultato pratico. Chiunque segua i media, in specie online, oppure le reti sociali, sa a cosa mi riferisco. Invece di regredire, sembra che questo fenomeno di manganellatori attraverso la tastiera, stia entrando a far parte della “cultura politica” di non pochi individui e gruppi, per altro di origine e orientamento diverso, con il che, alla fine, sembra che la collettività vi si abitui e tolleri più gli insulti che non le difese e le riflessioni che devono scaturire da queste bassezze. Il paradosso è che oggi sono appunto considerati moralisti o censori coloro che chiedono rispetto, mentre sarebbero vittime o addirittura coraggiosi coloro che offendono. Si compie così la tragica previsione attribuita al noto filosofo francese Lévinas, secondo il quale la maggiore tragedia delle vittime è che, alla lunga, ci sembrano noiose. Non è forse così? Peggiore della violenza verbale sessista (che, come ogni violenza verbale, semina il terreno per altre violenze) sono tuttavia tutte le forme più o meno subdole di un maschilismo tanto più forte quanto più ci si rende conto di aver perso ogni legittimazione culturale, economica, politica o persino religiosa. Una donna in politica? Che scarpe usa, come si veste se non addirittura come si sveste. Un diverbio tra donne impegnate politicamente? Naturalmente un litigio dovuto all’emotività. Una politica fotogenica? Ovvio che debba il suo successo al volto. Una politica figlia di genitori noti? Va da sé che si tratti di una predestinata. Una politica giovane che affronti temi ritenuti senior? Chissà chi mai sarà il suo suggeritore. Una manager di successo? O materna o spietata, o fatale o androgina. Luoghi comuni che, ne sono convinta, infastidiscono anche un numero crescente di uomini. I media e le reti sociali hanno naturalmente una grande responsabilità nella creazione di questi o ancora peggiori stereotipi, sorgente naturale di pregiudizi che, a loro volta, alimentano sempre le emarginazioni. Il loro ruolo è spesso ambivalente, ambigui sono poi molti comportamenti di chi i media prima li usa in un certo modo e poi li critica quando ne diventa bersaglio. Ma una ancora più grande responsabilità è nelle mani di ognuno di noi, donna o uomo che sia, interessato o meno alla politica. Di più, a mio avviso, per chi si dice liberale e come tale milita: dopo aver via via liberato la politica dai dogmi, dalle caste, dall’autoritarismo, dalle censure e da molti monopoli, serve ora liberarla da chi usa le parole per far tacere le idee e le persone. È una lotta al tempo stesso vecchia e attualissima: dove conduca la tolleranza verso la mancanza di rispetto ce lo dice la storia e ce lo conferma il presente. Il Ticino, per rapporto al resto della Confederazione, rappresenta oggi un brutto esempio. Fino a quando? Ognuno di noi può decidere se rassegnarsi al tempo delle cattiverie e del cattivismo, o impegnarsi per un cambiamento.