Chiamata alle armi in Kosovo
Belgrado – Per il Kosovo è un atto di sovranità, per la serbia è quasi una dichiarazione di guerra. Il voto con il quale il parlamento kosovaro ha formalizzato ieri la formazione di un proprio esercito difficilmente non avrà conseguenze sui sempre tesi rapporti tra Belgrado e Pristina. Il governo serbo ha denunciato una “brutale violazione” della risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu in base alla quale la Kfor, la forza della Nato, è l’unica forza armata autorizzata a stazionare sul territorio del Kosovo (la cui indipendenza non è peraltro riconosciuta da Belgrado, con Russia e Cina, tra gli altri). Si tratta della crisi più grave dalla dichiarazione di indipendenza, dieci anni fa. Anche la Nato e l’Unione europea hanno biasimato la decisione di Pristina, definendola improvvida e sottolineando che quantomeno la trasformazione della Forza di sicurezza in esercito doveva passare attraverso una modifica costituzionale. La Nato in particolare ha fatto sapere che, con il cambio di mandato per la Forza di sicurezza, l’Alleanza dovrà riesaminare il suo impegno in Kosovo. Mentre Usa, Gran Bretagna e Germania considerano diritto legittimo di uno Stato sovrano dotarsi di proprie Forze armate, il Ministero degli esteri russo ha sollecitato la Kfor a intervenire urgentemente per “demilitarizzare e smantellare ogni formazione armata creata dai kosovari albanesi”. La reazione risentita di Belgrado (che mantiene strettissimi rapporti con la minoranza serba in Kosovo) è stata affidata al segretario generale della presidenza Nikola Selakovic, che ha parlato di due possibili opzioni: dichiarare il Kosovo un territorio occupato, o ricorrere all’intervento armato.