La sindrome da finale
A Lucerna la Nazionale s’arrende a una Russia che la ‘B’ non ce l’ha neppure nel nome. Quei maledetti dischi persi...
Lucerna – «Questa sarà anche la Russia B, ma i russi sono pur sempre i russi». In fondo, basta questa frase presa cortesemente in prestito a Romain Loeffel per rendere l’idea di quale fosse il compito che attendeva la Nazionale di ‘Fischi’ nell’atto conclusivo della Lucerne Cup. Compito che in fin dei conti i rossocrociati non riescono a portare a termine. Così finisce che anche stavolta la Svizzera deve esporre bandiera bianca. E in una finale comincia a diventare una costante, siccome è la quarta volta di fila che succede: prima alla Spengler di Davos, un anno fa, poi al comunque storico Mondiale in Danimarca, quindi all’ultima Deutschland Cup di Krefeld, nel mese di novembre, e infine appunto alla Lucerne Cup. Quattro appuntamenti ovviamente imparagonabili, ma – casualmente, o magari invece no – va a finire che il risultato è identico.
Ancora una volta gli uomini di ‘Fischi’ cedono proprio sul più bello. Ed è la quarta volta di fila, dalla Spengler in poi.
Al termine di una partita che si complica maledettamente già nel primo tempo. Per colpa di due puck banalmente regalati ai russi, che portano il risultato dall’1-1 dell’undicesimo minuto all’1-3 del diciassettesimo: prima un passaggio nel vuoto di Patrick Geering, poi un’uscita dal terzo kamikaze da parte di Lukas Frick. Un equilibrismo senza rete che Patrick Fischer dimostra di non apprezzare per nulla, difatti lo toglie dal ghiaccio alla fine del primo tempo. Non che la Svizzera non ci provi. Il punto, semmai, è che ci riesce soltanto a ondate. E fors’anche con poca convinzione. Mentre, sull’altro fronte, la giovane Russia messa in pista da Oleg Bratash – tutta composta da giocatori della Khl, il più vecchio dei quali ha 27 anni – quando ha il disco sul bastone dimostra di divertirsi e parecchio. Ma non ci sono soltanto tecnica e velocità: questi russi hanno pure il fisico. E gli uomini di Fischer, soprattutto
davanti alla porta, dimostrano di soffrire parecchio. Il tutto in una serata in chiaroscuro anche a livello di singoli. Ad esempio, in retrovia gli unici a lasciare il segno sono capitan Diaz e il bianconero Loeffel, e con loro anche Patrick Geering, mentre in attacco a portare la croce sono più o meno sempre i soliti. Con una menzione speciale per l’idolo di casa Lino Martschini e per il futuro bianconero Reto Suri, affiancati a un Gregory Hofmann nell’occasione davvero impalpabile, soprattutto poiché schierato in un ruolo che abitualmente non è il suo.