laRegione

Coda di paglia

- Di Lorenzo Erroi

Se c’è una cosa che mi fa rabbia, da italiano che lavora (e vive) in Ticino, è il lamento costante di certi connaziona­li. Non sono la maggioranz­a, per fortuna, ma diventano subito ossessivi. Son quelli che passano il tempo a fare confronti fra “noi” e “loro”, italiani e svizzeri, a spacciare cliché usurati e fare le povere vittime. Una specie di nazionalis­mo psicotico che riduce gli individui al colore del loro passaporto, e che a onor del vero si incontra anche nella speculare versione svizzera: il risentimen­to chiama altro risentimen­to. Lo si è visto bene coi due italiani – un frontalier­e e (…)

Segue dalla Prima (…) una residente – che sui social hanno insultato la Svizzera e la sua polizia, il tutto per una banale contravven­zione. Parole durissime, violente, figlie di una rabbia assolutame­nte esagerata. Neanche ti avessero menato, santocielo: ti becchi una multa, la paghi. Amen. Sai che tragedia. Peggio degli insulti, però, sono state le reazioni che hanno scatenato. Felici di cotanto boccone da dare in pasto agli analoghi piangina ticinesi, i soliti portalini e giornalett­i della costellazi­one leghista hanno fomentato la polemica. Naturalmen­te i social permettono di scatenare, con minime scintille, il rapido incendio di tutta la prateria. Da lì a chiedere la testa dei due frontalier­i, è stato un attimo. Ma queste sono solo le dinamiche di Facebook e affini, basterebbe trattare la cosa da adulti e non dar loro troppo peso. Ben più preoccupan­te è stato semmai l’epilogo della vicenda: licenziame­nto in tronco per entrambi. Non perché i due facessero male il loro lavoro, anzi: nell’ultimo caso, la società ha addirittur­a parlato di “un collaborat­ore fino a oggi irreprensi­bile”. Non è stata quindi la condotta profession­ale a giustifica­re il licenziame­nto. Le due società hanno scelto di sacrificar­e i collaborat­ori per timore di un danno d’immagine, invece di sfidare a viso aperto chi strumental­izza questa guerriglia di confine per il proprio tornaconto politico. Hanno accettato supinament­e che fosse il comportame­nto di branco dei predatori virtuali a determinar­e le loro strategie. È che son tempi furiosi, signora mia. Tempi nei quali si aspetta un passo falso per crocifigge­re il prossimo. Imprese che senza stranieri e frontalier­i avrebbero già chiuso da un pezzo – facciamoce­ne una ragione – fanno sacrifici sull’altare dello sciovinism­o più bieco. Sia mai che a qualcuno venisse in mente di andare a contestare le ragioni struttural­i di certe tensioni, dalle politiche dell’odio a salari che in interi settori escludono la manodopera residente. No, no, meglio far vedere alle tricoteuse­s del web la testa mozza di chi ha sbagliato, e passare ad altro. C’è un nome tecnico per questa cosa: coda di paglia.

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