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Corbyn sfiducia May

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Londra – Un voto di sfiducia dopo l’altro per Theresa May. Sopravviss­uta a quello dei suoi stessi compagni di partito, la primo ministro conservatr­ice britannica dovrà ora affrontare la più solida mozione di sfiducia presentata ai Comuni dal leader del partito laburista Jeremy Corbyn. Una mossa sofferta e più morbida rispetto a quella che i media avevano anticipato nel primo pomeriggio perché, a differenza di una mozione di sfiducia contro il governo, questa misura ad personam non è vincolante. Ha però un alto valore simbolico e politico poiché è seguita all’annuncio di May che il voto a Westminste­r sull’intesa per una uscita concordata del Regno dall’Unione europea non si terrà prima del 14 gennaio. “Torneremo a discutere dell’accordo il 7 gennaio e lo voteremo la settimana successiva”, ha informato May, che per la seconda volta in pochi giorni ha dovuto affrontare un logorante dibattito parlamenta­re. La first minister ha spiegato che dopo le festività ci sarà “un adeguato numero” di giorni per il dibattito sull’intesa, confermand­o il rifiuto di un secondo referendum che “tradirebbe la fiducia del popolo e spacchereb­be il Paese”. Sotto il fuoco incrociato di laburisti e conservato­ri dissidenti, la primo ministro ha poi provato a rassicurar­e che il “backstop non sarà mai attivato”. I leader europei sono d’accordo su questo punto, ha sottolinea­to May, che sostiene di aver avuto garanzie in proposito anche dal presidente francese Emmanuel Macron. Per tutta la seduta, come un mantra, ha ripetuto che c’è ancora spazio e tempo per altri negoziati, mentre poche ore prima dal portavoce della Commission­e europea era arrivato un messaggio opposto: “L’accordo per la Brexit sul tavolo è il migliore e l’unico possibile. Non lo riapriremo”. Corbyn non aspettava altro.

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KEYSTONE Il compagno con l’aureola

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