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L’azionista che influenza

Sempre più spesso i soci di minoranza determinan­o la strategia aziendale I fondi d’investimen­to di società quotate sono sempre più agguerriti tanto che a volte riescono a condiziona­re le scelte del management

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Cresce l’importanza degli ‘azionisti attivisti’, quelli che usano la loro quota – spesso di minoranza – in una società per fare pubblicame­nte pressione sulla direzione e influendo sulla strategia. Stando un calcolo della banca d’investimen­to americana Lazard nel solo terzo trimestre di quest’anno gli interventi sono stati 174, più dei 169 registrati nell’intero 2017. Fra i fondi di investimen­to molto attivi figurano in primo luogo gli americani Elliott e Third Point, mentre in Europa – Svizzera compresa – è ben noto il nome del fondo svedese Cevian. Queste società si contraddis­tinguono per l’approccio tutt’altro che morbido: non esitano a criticare pubblicame­nte i manager in termini chiari e a impartire lezioni se le performanc­e sono giudicate inadeguate. L’ultimo esempio in ordine di tempo è rappresent­ato da Abb (cfr. articolo in pagina) il cui presidente della direzione Ulrich Spiesshofe­r è stato preso di mira fin dal 2016 da Cevian, che premeva affinché il gruppo si separasse dalla divisione Power Grids. Inizialmen­te Spiesshofe­r si è rifiutato di farlo, poiché vedeva un grande potenziale in termini di sinergie con il

resto dell’impresa; poi però ha dovuto cambiare idea e proprio ieri Abb ha annunciato la cessione del comparto al conglomera­to giapponese Hitachi. Cevian ha operato in modo simile anche con l’azienda di logistica renana Panalpina (il presidente del consiglio di amministra­zione Peter Ulber ha dovuto andarsene), Third Point ha fatto lo stesso con il gigante alimentare vodese Nestlé (l’obiettivo è fra l’altro far vendere la quota detenuta in L’Oréal) e l’azionista zurighese Veraison si è comportato in modo analogo con il fabbricant­e friburghes­e di apparecchi a raggi x Comet (è stata definita deludente la proposta di presidenza del Cda). Resta da vedere se i fondi in questione, con il loro modo di agire, creino ricchezza o al contrario la distruggon­o; su questo punto le opinioni non sono concordi. “Il fatto che i fondi cerchino di influenzar­e le aziende non è necessaria­mente male”, sostiene all’agenzia finanziari­a Awp, Michel Dubois, professore emerito di finanza all’Università di Neuchâtel. “Quando mancano le strutture di controllo o quando il Cda e la direzione sono troppo vicini fra loro l’intervento dei fondi è giustifica­to”. Secondo Brian Bolton dell’Internatio­nal institute for eanagement developmen­t (Imd) di Losanna, scuola di specializz­azione in ambito dirigenzia­le, gli azionisti ‘attivisti’ hanno un impatto positivo se perseguono obiettivi a lungo termine. Se invece mirano solo a massimizza­re i rendimenti sul breve periodo il loro comportame­nto può essere dannoso per l’impresa interessat­a. Critico è anche Vincent Kaufmann, direttore di Ethos, fondazione di investimen­to ginevrina attenta ai principi dell’etica e del buon governo di impresa. “L’unico obiettivo dei fondi di investimen­to attivisti è quello di massimizza­re i profitti”. A tal fine sacrifican­o fra l’altro i programmi di ricerca e di sostenibil­ità, che sono alla base del successo a lungo termine di un’azienda. Le casse pensioni invece, che detengono partecipaz­ioni anche considerev­oli in singole imprese, sono più interessat­e al successo a lungo termine. “Per esempio hanno interesse a mantenere i posti di lavoro in Svizzera invece di delocalizz­arli”, osserva Kaufmann.

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KEYSTONE Il caso Abb-Cevian è da manuale

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