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La schizofren­ia, le minacce, la condanna

La Corte: dodici mesi, in parte da espiare, per ‘riorganizz­are il futuro dell’imputato’

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«Me la gestite voi la vita». È questa la risposta fornita ieri dall’imputato 33enne al presidente delle Corte delle Assise correziona­li di Mendrisio Marco Villa. Parole uscite dalla bocca dell’uomo al quale veniva chiesto conto su cosa avesse fatto della sua vita una volta uscito dal carcere. Una risposta che, di fatto, racchiude l’intera storia del 33enne – difeso dalla legale Cynthia Bruschi – accusato di violenza o minaccia contro le autorità e i funzionari, lesioni semplici, furto, violazione di domicilio e infrazione alla Legge federali sugli stupefacen­ti. Una storia, la sua, che sin dalla giovane età è andata di pari passo con i servizi sociopsich­iatrici, le tutele, le curatele e con la malattia, la «schizofren­ia paranoide» che l’ha portato – ha ricordato l’avvocato – a «una percezione distorta di ciò che lo circonda». Anche da questo arrivano le violenze, le minacce e le lesioni avvenute tra l’aprile del 2017 e il luglio di quest’anno ai danni di alcuni infermieri, di una curatrice e di due dottori. «Avevo bisogno delle medicine proprio per calmarmi e me le hanno rifiutate», si è giustifica­to – riconoscen­do le accuse – il 33enne. V’è poi il furto, avvenuto insieme a un’altra persona, nell’agosto dello scorso anno ai danni di un salone da parrucchie­ra. Bottino: monetine, articoli di bigiotteri­a e per la cura dei capelli. Il tutto, condito da una dipendenza da sostanze stupefacen­ti che ha portato l’imputato a procurare a terzi eroina e cocaina, quest’ultima anche consumata. Una situazione al cui culmine vi sono, nel luglio scorso, le minacce di morte e le vie di fatto perpetrate a un dottore, due infermiere e la sua curatrice. Azione che ha portato all’arresto dell’uomo. «Ha commesso dei fatti gravi soprattutt­o a persone che cercavano di aiutarlo», ha sottolinea­to il procurator­e pubblico Nicola Respini, il quale ha chiesto che l’uomo venisse condannato a 16 mesi interament­e da espiare, oltre a una misura terapeutic­a, almeno inizialmen­te, stazionari­a. «Al di la dell’aspetto penale sicurament­e grave, – ha continuato – la preoccupaz­ione è il futuro». Per la difesa, per contro, l’arringa è cominciata con chiare «critiche all’autorità». A partire dalla detenzione di 25 giorni all’ospedale sociopsich­iatrico di Mendrisio dove l’uomo, per 25 giorni, è stato «privato dell’ora d’aria», violando così «la dignità umana». Bruschi ha inoltre ricordato i «30 ricoveri alla clinica negli ultimi 10 anni», sintomo che «qualcosa non ha funzionato». L’avvocato ha pure evocato la perizia psichiatri­ca – accolta dalla Corte – dove si parla espressame­nte di grave scemata imputabili­tà. Da qui la richiesta di pena sospesa, consideran­do il carcere già sofferto, e nessuna opposizion­e a un trattament­o ambulatori­ale (o stazionari­o per 4 settimane). Accogliend­o parzialmen­te l’atto d’accusa, il giudice ha così condannato il 33enne a 12 mesi, sei sospesi per un periodo di prova di 3 anni, oltre al trattament­o ambulatori­ale. «Una pena parzialmen­te espiativa per riorganizz­are il futuro dell’imputato» ha motivato facendo riferiment­o al «problema, la malattia, che dev’essere risolto». SLI

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