Al parlamento di Baghdad un voto per mandare a casa i marines
Washington/Baghdad – Dalla Siria e dall’Afghanistan vuole andarsene lui, dall’Iraq potrebbero volerlo cacciare gli iracheni. Donald Trump, sulla via del ritorno dalla fulminea visita al contingente statunitense in Iraq, si è trovato inseguito da una mozione che verrà discussa al parlamento di Baghdad per ordinare agli Usa di ritirare le proprie truppe dal Paese. La mozione è stata presentata dal partito di Moqtada Sadr, il clerico sciita che dai tempi dell’invasione campa sul risentimento popolare e lo alimenta con una retorica infiammata, ma è sostenuta da una larga parte del parlamento. Ed è una spia precisa di un sentimento diffuso nei confronti delle truppe americane. Anche Qais Khazali, capo militare di Asaib Ahl al-Haq, una milizia sostenuta dall’Iran, che ha combattuto in battaglie decisive contro l’Isis nel Nord del Paese, ha assicurato che se il parlamento non dovesse votare a favore del ritiro americano, le milizie vi provvederebbero “con altri mezzi”. Questo per gli iracheni. Ma la visita lampo di Trump in Iraq è oggetto di non poche polemiche anche negli Stati Uniti, dove la stampa e i quadri più elevati delle forze armate si interrogano ancora sulla mancanza di una strategia complessiva dell’amministrazione sulla dislocazione e l’utilizzo delle truppe Usa sullo scacchiere internazionale. Le critiche provengono da parte repubblicana e democratica, indistintamente, soprattutto dopo l’addio polemico del capo del Pentagono James Mattis, che aveva definito la decisione del ritiro dalla Siria un atto “irresponsabile”. Ugualmente criticate anche le parole pronunciate da Trump nella base di alAsad quando si è attribuito il merito di aver alzato per la prima volta in più di dieci anni il salario dei militari. Un’affermazione che – come sottolineano diversi media – non corrisponde al vero: le paghe infatti hanno subito un incremento costante, anno dopo anno, da decenni, e sono aumentate nel 2018 del 2,4% e cresceranno nel 2019 del 2,6%.