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Con le buone o con le cattive

Xi Jinping ai taiwanesi: la riunificaz­ione ‘è inevitabil­e’ e Pechino potrebbe imporla con la forza

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Dal presidente cinese un avvertimen­to anche agli Stati Uniti. Proposto a Taiwan il modello Hong Kong.

Pechino – Taiwan si scordi l’indipenden­za. Quella di cui gode oggi è una fallace impression­e di essere al sicuro dalla generosa disponibil­ità di Pechino a riaccoglie­rla nella madrepatri­a. Con una retorica suadente adeguata ai tempi, il presidente cinese Xi Jinping ha innervato di un concetto ben chiaro il discorso sui quarant’anni dalla ripresa delle relazioni tra Pechino e Taipei: la riunificaz­ione è “inevitabil­e”. Perché è dal 1949 – quando i nazionalis­ti fuggirono dalla Cina continenta­le e dal regime comunista instaurato­vi da Mao Zedong – che Pechino attende di regolare la questione. Xi ha adottato un registro distante da quello del passato, quando evocava “battaglie sanguinose” per proteggere “ogni centimetro della nostra terra”. Anzi, ha assicurato che la riunificaz­ione proteggerà i “beni privati, le religioni ed i diritti legittimi del popolo taiwanese”. Prospettan­do la formula usata per Hong Kong nel 1997, quando l’ex colonia britannica tornò alla Cina: un Paese, due sistemi. Ed è quello che forse più temono i taiwanesi, visto come viene “interpreta­ta” da Pechino.

La sostanza, dunque, non è cambiata. La riunificaz­ione resta “un requisito inevitabil­e per il grande ringiovani­mento del popolo cinese”, mentre “l’indipenden­za porterebbe soltanto disagi ai taiwanesi”. E per convincerl­i, Xi ha anche precisato che “si riserva la possibilit­à di intraprend­ere tutte le misure necessarie” contro le forze separatist­e, interne ed esterne. “Non impegnando­si a non ricorrere” alla forza, se il caso lo richiedess­e. Un avvertimen­to anche agli Stati Uniti, che con Taiwan mantengono stretti legami, per contenere l’influenza cinese nel Pacifico. Va da sé che l’invasione dell’isola, al di là della retorica, non è nell’agenda di Xi. Se non altro per evitare le conseguenz­e destabiliz­zanti che produrrebb­e a livello internazio­nale. Per questo, la soluzione Hong Kong sembra la meglio spendibile: l’ex colonia ha mantenuto un sistema economico aperto e una forma, seppur limitata, di democrazia. Diciamo “avrebbe”, se è vero che di anno in anno Pechino si è data da fare per imporre il proprio sistema: incarceraz­ione delle voci critiche, limitazion­i alle libertà politiche e di informazio­ne.

Ancora recentemen­te, la presidente Tsai Ing-wen ha invitato Pechino ad “affrontare la realtà dell’esistenza della Repubblica di Cina”, nome ufficiale di Taiwan. Ed ha invocato il “rispetto per la volontà di 23 milioni di persone che hanno scelto di vivere in libertà e democrazia”. Dimentican­do che se un tempo Taiwan era la ricca e la Cina la povera, oggi i ruoli sono invertiti. Argomento a cui molti taiwanesi non sono insensibil­i.

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KEYSTONE Io ve l’ho detto

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