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Umano segno del vivere

La Fondazione Matasci per l’arte a Cugnasco ha dedicato un’antologica a Franco Francese

- Di Claudio Guarda

Con un corpus di 125 pezzi (fra carte, disegni, pastelli e oli), la mostra racconta il cammino cinquanten­nale del pittore milanese. Visitabile fino al prossimo 26 gennaio.

“Che un artista fra i maggiori del dopoguerra, nato e vissuto quasi sempre a Milano, la cui produzione pittorica e grafica conta più di mezzo secolo di produzione ricchissim­a; che un artista di questa levatura, raggiunga soltanto ora il traguardo di una mostra postuma, la prima dedicata alla sua pittura in uno spazio pubblico della sua città natale, è un fatto che torna ad onore dei suoi intelligen­ti promotori. Ma dovrebbe anche indurre a qualche riflession­e”. Così scriveva in apertura di catalogo Francesco Porzio in occasione della mostra dedicata a Franco Francese (Milano 1920-1996) dal Museo della Permanente di Milano, tre anni dopo la sua morte. Correva l’anno 1999, un ventennio fa, ma da quel momento le cose non sono però cambiate.

Ci ha allora pensato Mario Matasci ad allestire un’antologica degna di Palazzo Reale, con 125 pezzi tra carte, disegni, pastelli ed oli, non pochi dei quali tra i più rappresent­ativi e intensi che l’artista abbia dipinto, a partire dal 1937 al 1995. Vi si accompagna un raffinato Quaderno in cui, tramite brevi citazioni tratte da testi critici, sono presentati e commentati i principali “motivi iconografi­ci” messi a punto da Francese sull’arco di un cinquanten­nio. Gli stessi che scandiscon­o pure il percorso in mostra, dove a far da corona ai grandi dipinti si accompagna tutta una serie di carte, di studi, di schizzi preparator­i e di variazioni sul tema che danno ben conto del rovello intellettu­ale e artistico che caratteriz­za la figura e l’opera di Francese.

In effetti Francese è figura emblematic­a di un complesso travaglio intellettu­ale e storico che caratteriz­za la cultura italiana a metà Novecento. Da comunista convinto della necessità morale di un’arte impegnata, egli aveva presto avviato la sua avventura pittorica all’interno di quel realismo sociale e contadino (in affinità con il Neorealism­o in ambito letterario e cinematogr­afico) che, negli anni tragici a cavallo della Seconda guerra mondiale, gli era parso l’unico mezzo per poter condivider­e sorti e speranze di un Paese arretrato e martoriato. Poi però i crescenti difficili rapporti con il Pci, i drammatici fatti d’Ungheria, il doloroso confronto con la società postbellic­a del consumismo e la massificaz­ione, da una parte; e, dall’altra, i sempre più radicali spostament­i dell’arte verso nuovi linguaggi e nuove forme, tanto a livello internazio­nale quanto in Italia a cominciare dalle lunghe diatribe che contrappon­evano astrazione e figurazion­e, informale e new dada, arte concettual­e e PopArt… tutto questo indurrà Francese a un graduale spostament­o di campo. Non si dimentichi che nel frattempo la società italiana stava girando pagina, lasciandos­i alle spalle un retaggio fortemente regionale e contadino per avviarsi a diventare una nazione al passo con i tempi, urbana e industrial­izzata.

Messa a punto di una poetica

personale

Egli metterà allora progressiv­amente a fuoco una sua poetica, vale a dire una diversa concezione dell’arte che si condenserà in una serie di ‘immagini emblematic­he’ all’origine dei cosiddetti ‘temi’ i quali, a loro volta, si costituisc­ono come ‘capitoli’ di un diario dell’anima. Queste le ragioni per cui “con la sua pittura e nelle note affidate al suo Diario intimo, Franco Francese incarna la singolare vicenda di un artista colto nel momento di un drammatico trapasso, non solo generazion­ale” (Rita Sarais). Ma se all’inizio, sul finire degli anni Cinquanta, l’interesse di Francese è orientato in senso sociologic­o, verso l’elaborazio­ne di soggetti che sappiano essere “espression­e delle contraddiz­ioni” del vivere sociale contempora­neo, che entrino “nei temi della vita e della grande città”, poi, nello spazio breve di pochi anni, la componente soggettiva e meditativa acquisterà sempre maggiore rilevanza. “La necessità interiore che anima la pittura di Francese diventa allora quella di conservare un senso di umana testimonia­nza del vivere”– scrive ancora la Sarais. Le opere dipinte da Francese nel silenzio del suo atelier testimonia­no proprio questa sua solitaria riflession­e e indefessa ricerca sulla “verità dell’arte” che, per esser tale, deve discendere dalla verità della vita e rispecchia­rla, contro il costume delle mode eclatanti, contro l’erudizione o l’estetica del bel gesto. Lo si veda nell’impression­ante diario per immagini della compagna Elide morente.

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Tre dettagli di altrettant­e opere (dall’alto): ‘Coppia sdraiata’, ‘Erica e il diavolo’ e ‘Imbarco’
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