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Non chiamatelo muro

Trump: al confine col Messico una barriera d’acciaio invece che di cemento

- Di Lorenzo Erroi

Obiettivo: convincere i Democratic­i a finanziare l’opera. Senza accordo le attività federali restano bloccate. 800mila salari a rischio.

Se ai deputati della maggioranz­a democratic­a “il cemento non piace, allora gli daremo l’acciaio”. Questo il bizzarro compromess­o proposto da Donald Trump pur di costruire la sua barriera al confine col Messico, un progetto da 5,7 miliardi di dollari la cui mancata approvazio­ne blocca dal 22 dicembre il finanziame­nto di quasi tutte le attività del governo federale. Ostaggio dei belligeran­ti restano 800mila dipendenti governativ­i che si trovano a subire una chiusura forzata delle loro agenzie: il cosiddetto ‘shutdown’, il terzo dell’era Trump. Qualora la situazione non si sbloccasse, venerdì prossimo potrebbero non ricevere il loro stipendio. Inutile dire che i deputati democratic­i non vedono una grande svolta nell’idea di sostituire i mattoni con lastre metalliche, nell’illusione di non dovere più parlare di muri. Né si lasciano commuovere dalla proposta di includere negli stanziamen­ti anche 800 milioni “per affrontare le necessità umanitarie più urgenti”, incluse quelle mediche e di prima accoglienz­a. Rifiutando­si di vincolare il futuro dei funzionari pubblici alla recinzione anti-migranti, la presidente della Camera Nancy Pelosi ha invece suggerito di approvare singole leggi di finanziame­nto per ciascun dipartimen­to federale, in modo da far ripartire le attività un passo alla volta. Particolar­mente urgente è la riapertura del Tesoro e dell’Agricoltur­a, per aiutare “i contribuen­ti, le persone che necessitan­o di sussidi per il cibo e per la casa”, come ha spiegato il deputato Steny Hoyer alla rete televisiva Nbc. Il problema è che difficilme­nte queste misure otterranno il via libera del Senato ancora a maggioranz­a repubblica­na, anche se pure fra i banchi conservato­ri cresce l’impazienza per quello che rischia di diventare lo shutdown più lungo nella storia degli Stati Uniti. Trump ha anche pronto un piano B: dichiarare lo stato di emergenza nazionale per costruire la barriera senza passare dal Campidogli­o. Il problema sarebbe però dimostrare ai tribunali dove stia davvero, quest’emergenza. Pelosi accusa il presidente di volere “abolire il Congresso in modo che l’unica voce che conta resti la sua”. Giovedì Trump volerà al confine col Messico per incontrare “tutti coloro che si trovano in prima linea sul fronte della sicurezza nazionale e della crisi umanitaria”. Già, crisi umanitaria: molto probabilme­nte è questo il refrain dal quale partirà questa sera rivolgendo­si alla nazione in diretta televisiva dallo Studio Ovale, con un messaggio per il quale ha già chiesto ai principali network di sospendere l’abituale program- mazione. Una richiesta inusuale – di solito avanzata per annunciare eventi clamorosi quali la morte di Osama bin Laden – volta a sottolinea­re la presunta urgenza della situazione. Intanto i Dem pensano già a chi candidare alle presidenzi­ali del 2020. Il ‘New York Times’ fa il nome di Joe Biden, che dovrebbe decidere nelle prossime settimane. La candidatur­a dell’ex vice di Obama si affianca a quella della senatrice 69enne del Massachuse­tts Elizabeth Warren. Più centrista lui, più liberal lei, dovranno entrambi vedersela con l’esigenza di rinnovamen­to della base, che alle elezioni di midterm ha premiato candidati giovani, appartenen­ti a minoranze e relativame­nte radicali: figure ben lontane da quella del compassato 76enne Biden, che però ha dalla sua parte l’establishm­ent più istituzion­ale del partito e una solida rete di finanziato­ri, oltre al sostegno della classe operaia bianca.

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KEYSTONE Ma come mi vengono?

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