Non chiamatelo muro
Trump: al confine col Messico una barriera d’acciaio invece che di cemento
Obiettivo: convincere i Democratici a finanziare l’opera. Senza accordo le attività federali restano bloccate. 800mila salari a rischio.
Se ai deputati della maggioranza democratica “il cemento non piace, allora gli daremo l’acciaio”. Questo il bizzarro compromesso proposto da Donald Trump pur di costruire la sua barriera al confine col Messico, un progetto da 5,7 miliardi di dollari la cui mancata approvazione blocca dal 22 dicembre il finanziamento di quasi tutte le attività del governo federale. Ostaggio dei belligeranti restano 800mila dipendenti governativi che si trovano a subire una chiusura forzata delle loro agenzie: il cosiddetto ‘shutdown’, il terzo dell’era Trump. Qualora la situazione non si sbloccasse, venerdì prossimo potrebbero non ricevere il loro stipendio. Inutile dire che i deputati democratici non vedono una grande svolta nell’idea di sostituire i mattoni con lastre metalliche, nell’illusione di non dovere più parlare di muri. Né si lasciano commuovere dalla proposta di includere negli stanziamenti anche 800 milioni “per affrontare le necessità umanitarie più urgenti”, incluse quelle mediche e di prima accoglienza. Rifiutandosi di vincolare il futuro dei funzionari pubblici alla recinzione anti-migranti, la presidente della Camera Nancy Pelosi ha invece suggerito di approvare singole leggi di finanziamento per ciascun dipartimento federale, in modo da far ripartire le attività un passo alla volta. Particolarmente urgente è la riapertura del Tesoro e dell’Agricoltura, per aiutare “i contribuenti, le persone che necessitano di sussidi per il cibo e per la casa”, come ha spiegato il deputato Steny Hoyer alla rete televisiva Nbc. Il problema è che difficilmente queste misure otterranno il via libera del Senato ancora a maggioranza repubblicana, anche se pure fra i banchi conservatori cresce l’impazienza per quello che rischia di diventare lo shutdown più lungo nella storia degli Stati Uniti. Trump ha anche pronto un piano B: dichiarare lo stato di emergenza nazionale per costruire la barriera senza passare dal Campidoglio. Il problema sarebbe però dimostrare ai tribunali dove stia davvero, quest’emergenza. Pelosi accusa il presidente di volere “abolire il Congresso in modo che l’unica voce che conta resti la sua”. Giovedì Trump volerà al confine col Messico per incontrare “tutti coloro che si trovano in prima linea sul fronte della sicurezza nazionale e della crisi umanitaria”. Già, crisi umanitaria: molto probabilmente è questo il refrain dal quale partirà questa sera rivolgendosi alla nazione in diretta televisiva dallo Studio Ovale, con un messaggio per il quale ha già chiesto ai principali network di sospendere l’abituale program- mazione. Una richiesta inusuale – di solito avanzata per annunciare eventi clamorosi quali la morte di Osama bin Laden – volta a sottolineare la presunta urgenza della situazione. Intanto i Dem pensano già a chi candidare alle presidenziali del 2020. Il ‘New York Times’ fa il nome di Joe Biden, che dovrebbe decidere nelle prossime settimane. La candidatura dell’ex vice di Obama si affianca a quella della senatrice 69enne del Massachusetts Elizabeth Warren. Più centrista lui, più liberal lei, dovranno entrambi vedersela con l’esigenza di rinnovamento della base, che alle elezioni di midterm ha premiato candidati giovani, appartenenti a minoranze e relativamente radicali: figure ben lontane da quella del compassato 76enne Biden, che però ha dalla sua parte l’establishment più istituzionale del partito e una solida rete di finanziatori, oltre al sostegno della classe operaia bianca.