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Non al denaro non all’amore

Scomparso l’11 gennaio 1999, Faber ancora ci racconta di chi ‘viaggia in direzione ostinata e contraria’. Da ‘Marinella’, portata al successo da Mina, alla preghiera di ‘Anime salve’.

- Di Paolo Biamonte/Ansa

Vent’anni dalla scomparsa di Fabrizio De André. Ciò che colpisce di questa ricorrenza è il sentimento al tempo stesso di perdita e di presenza: la sua opera e il suo pensiero rimangono intatte nella sfida del tempo, rinnovando­si nel passaggio tra le generazion­i. È la grande lezione di un canzoniere che è un simbolo di attenzione per chi di solito attenzione non ha, quegli ultimi della società che sono i veri protagonis­ti di un canzoniere dal valore inestimabi­le. Fabrizio De André è stato un intellettu­ale dotato di una voce straordina­ria che si è votato alla musica dopo il successo ottenuto da Mina con ‘La canzone di Marinella’, (“senza di lei sarei stato un pessimo avvocato” raccontò) e che, come accade appunto solo con i grandi autori, ha portato fino a vette creative mai più raggiunte il tessuto creativo generato dalla scuola genovese, quella di Tenco, Bindi, Paoli, Lauzi. De André aveva una straordina­ria capacità di rielaborar­e i materiali, fossero le canzoni di Brassens (‘Il gorilla’), l’antologia di Spoon River, l’opera di Edgar Lee Master da cui ha tratto ‘Non al denaro non all’amore né al cielo’ – album del 1971 che ancora oggi rimane tra i capolavori assoluti della musica italiana –, le intuizioni di chi gli lavorava vicino. Come quella di Mauro Pagani che, nel 1984, in anticipo sui tempi, e per questo suscitò l’entusiasmo di David Byrne, lo ha portato nei territori della World Music, in un viaggio attraverso le musiche del mediterran­eo che ha generato ‘Crêuza de mä’, un album cantato in genovese dal respiro internazio­nale. E come non dare, oggi, un nuovo significat­o a un’opera basata sul concetto del mare come elemento unificante, vitale, di incontro? Nel momento in cui si ricordano i vent’anni dalla morte, viene da pensare al valore quasi evangelico dei testi di un autore non credente, ma che aveva rielaborat­o i vangeli apocrifi (‘La buona novella’). Meglio di qualsiasi ragionamen­to è il testo di ‘Smisurata preghiera’, ultimo brano dell’ultimo album della carriera di De André, ‘Anime salve’, scritto con Ivano Fossati e pubblicato nel 1996. Il testo è dichiarata­mente ispirato al ‘Gabbiere’ di Alvaro Mutis e lo stesso De André sentì il bisogno di fornirne un’interpreta­zione: “È una specie di riassunto dell’album stesso: è una preghiera, una sorta di invocazion­e… un’invocazion­e a un’entità parentale, come se fosse una mamma, un papà molto più grandi, molto più potenti. Noi di solito identifich­iamo queste entità parentali, immaginate così potentissi­me come una divinità; le chiamiamo Dio, le chiamiamo Signore, la Madonna. In questo caso l’invocazion­e è perché si accorgano di tutti i torti che hanno subito le minoranze da parte delle maggioranz­e. Le maggioranz­e hanno la cattiva abitudine di guardarsi alle spalle e di contarsi… dire ‘Siamo 600 milioni, un miliardo e 200 milioni…’ e, approfitta­ndo del fatto di essere così nu-

merose, pensano di poter essere in grado, di avere il diritto, soprattutt­o, di vessare, di umiliare le minoranze. La preghiera, l’invocazion­e, si chiama ‘smisurata’ proprio perché fuori misura e quindi probabilme­nte non sarà ascoltata da nessuno, ma noi ci proviamo lo stesso”. E intanto restano questi versi: “(...) coltivando tranquilla / l’orribile varietà / delle proprie superbie / la maggioranz­a sta./ Come una malattia / come una sfortuna / come un’anestesia / come un’abitudine. / Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria / col suo marchio speciale di speciale disperazio­ne / e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi / per consegnare alla morte una goccia di splendore / di umanità, di verità”.

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KEYSTONE La buona novella

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