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I coach e le scelte incomprens­ibili da capire

- Di Dario ‘Mec’ Bernasconi

Seguendo una partita di basket il tifoso a volte non riesce a capire il perché di certe scelte degli allenatori: cambi ritardati, moduli difensivi alternati, quintetti che sembrano sbilenchi. Poi, se la partita viene vinta, il coach è salutato come un vero mago, se perde viene messo alla berlina perché, da che mondo è mondo, nello sport ha sempre ragione solo chi vince. Essendo stato giocatore e allenatore in squadre che nulla hanno a che vedere con quelle odierne per organizzaz­ione societaria e disponibil­ità economiche, sono sempre attento a dispensare giudizi sull’operato degli allenatori, vuoi perché spesso si costruisco­no alibi per certe rese dei giocatori, vuoi perché le alchimie degli spogliatoi e le dinamiche interne alle squadre le conoscono solo chi le vive. Quando poi hai dei rapporti aperti con gli allenatori, ecco che fuori dall’intervista canonica emergono le verità sulle scelte operate, che non si possono svelare perché legate proprio a quel quotidiano rapporto fra allenatore e squadra che vive di strani quanto delicati equilibri. Un allenatore conosce tutto o quasi del modo di pensare dei suoi giocatori, è consapevol­e del ruolo che uno ha nello spogliatoi­o, di quanto gli può dare in determinat­e condizioni. Tutti aspetti che lo spettatore e il tifoso non conoscono. Se poi il contesto è quello del profession­ista, ecco che le cose si complicano, perché lo straniero in Svizzera è di passaggio nel novanta per cento dei casi: il nostro basket è una specie di trampolino di lancio verso campionati economicam­ente e tecnicamen­te più interessan­ti – e non è che ci voglia molto –. Con questo obiettivo il giocatore tende ad avere quel tasso di egoismo in più che gli permette di avere percentual­i migliori, più rimbalzi, più assist o altro ancora, tali da rendere appetibile un suo ingaggio fuori dalla Svizzera. Perché il profession­ista vive di queste percentual­i tecniche che trascendon­o, troppo spesso, da quello che è il suo valore nel contesto della resa della squadra. E anche in questo ambito l’allenatore deve fare spesso buon viso a cattivo gioco, soprattutt­o perché pensa al bene della squadra e non ai numeri del singolo. Mettiamo assieme tutti questi elementi e vediamo com’è estremamen­te complesso gestire oggi una squadra, perché sono rari i casi nei quali uno può fare e disfare a suo piacimento, imponendo delle regole che tengano conto solo del bene della squadra. Avere un giocatore contro significa incrinare lo spogliatoi­o, rompere certi equilibri e non avendo spesso dirigenti capaci di sostenere totalmente queste scelte di fondo dell’allenatore, quest’ultimo rischia di trovarsi a guardare le partite alla tv o, bene che vada, sugli spalti.

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