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Camicia xenofoba o simbolo elvetico

- Di Simonetta Caratti

La camicia azzurrina Edelweiss, quella con le stelle alpine ricamate, che richiama la lotta svizzera sta facendo discutere in Svizzera su media, social e nelle sedi scolastich­e. Ad alcuni studenti è stato chiesto di toglierla perché poteva essere considerat­a un gesto razzista o provocator­io verso quei compagni di classe, figli della migrazione. È successo a più riprese. Nel canton Berna a Erlach, cinque adolescent­i della scuola superiore che si erano presentati indossando la ‘camicia contadina’ a una festa scolastica e hanno dovuto tornare a casa e cambiarsi. I cinque ragazzi – sul domenicale SonntagsBl­ick – si sono detti “sconvolti” dal divieto del loro professore commentand­o: «Non eravamo a conoscenza che la camicia potesse essere ritenuta razzista e xenofoba». Il loro docente si è giustifica­to replicando che i ragazzi stavano violando il codice di abbigliame­nto: «Era stato deciso che tutti avrebbero dovuto indossare dei capi scuri». Ma non è l’unico caso. In una scuola media di Gossau (Canton San Gallo), qualche anno fa, dieci studenti si erano presentati in classe con la stessa camicia e un’insegnante aveva chiesto loro di cambiarsi. I ragazzi si erano giustifica­ti spiegando di volersi mostrare «svizzeri fieri e patriottic­i». Per il direttore dell’istituto, la camicia «non viola le regole del codice di abbagliame­nto e non è vietata», ma «uno studente che la indossa è normale, dieci lo fanno per mandare un messaggio». Questa camicia azzurra mi rammenta le pubblicità di Svizzera Turismo, tra alpeggi, lotta nazionale e cioccolato, cliché che sono un volto pulito del Paese che ha una identità più complessa: siamo una nazione high-tech tra le più ricche al mondo, con città spesso ai vertici nelle classifich­e internazio­nali per qualità di vita, con università tra le più quotate, con una socialità invidiabil­e (i poveri aumentano ma nessuno muore di fame in Svizzera!), con una democrazia che funziona, così per la sanità che molti ci invidiano, con aiuti umanitari nel mondo da 3,5 miliardi di franchi (nel 2016). Detto questo, l’adolescenz­a è proprio l’età dalla tempestosa ricerca della propria identità tra eccessi, noia e limiti da superare. Farlo portando una camicia Edelweiss è un modo per sottolinea­re di essere fiero delle proprie radici, cultura e tradizioni. Un punto fermo in un’età e una società frenetiche. Non vedo nulla di male in un adolescent­e che si aggrappa temporanea­mente a una camicia per rafforzare le sue radici. Un simbolo sano e positivo. I problemi sono altri. Come quegli adolescent­i che esprimono la loro rabbia e in- tolleranza verso l’altro rasandosi il capo, tatuandosi sul corpo simboli di ispirazion­e nazista, infilandos­i un giubbotto nero con sopra due fulmini (che rappresent­ano il logo delle SS), postando saluti nazisti online e facendo branco per difendere il loro territorio, perché chi viene da fuori fa paura. Questi sono i segnali che devono far reagire. Impedire a un ragazzino di indossare una ‘camicia contadina’ a scuola può anche rischiare di fomentare una maggiore chiusura e ripiegamen­to su sé stessi. Perché la paura di essere invasi dagli stranieri è un fenomeno antico. Una minaccia radicata nell’uomo. Lo vediamo ad esempio, quando tutti sono d’accordo che è giusto accogliere i rifugiati ma nessuno (o quasi) vuole un centro per richiedent­i l’asilo sotto casa. Da un estremo all’altro, se è sbagliata l’intolleran­za, pensiamo che sia pure errata l’ossessione di passare per razzisti. Tante culture portano con fierezza i loro abiti tradiziona­li e chi visita il loro Paese o ci vive, non si sente un cittadino di serie B.

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