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L’impossibil­e amore di Pawlikowsk­i

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Un film in polacco. In bianco e nero. E girato in 16 mm e in formato 4:3, quasi un quadrato, soprattutt­o adesso che anche i televisori son praticamen­te tutti in 16:9. Messa così, questo ‘Cold War’ di Paweł Pawlikowsk­i sembra roba da cinefili incalliti e raffinati. Ecco, no. O meglio, sì, anche: la Palma d’oro per la miglior regia non la vinci per caso, e per caso non finisci nella shortlist degli Oscar per il Miglior film straniero (Oscar che, lo ricordiamo Pawlikowsk­i ha già vinto, nel 2015, con ‘Ida’). Ma il linguaggio del regista polacco è pulito, rigoroso, potente. Di quelli che chiunque rimane a fissare lo schermo qualsiasi cosa succeda, solo per la bellezza e la poesia delle immagini che Pawlikowsk­i costruisce con grande maestria. Se poi – come è il caso di ‘Cold War’ –, sullo schermo abbiamo una grande storia d’amore, non si può restare catturati nel vortice di sentimenti che lega Wiktor e Zula (i bravissimi Tomasz Kot e Joanna Kulig). Lui è un musicista che, nel 1949 percorre le campagne polacche alla ricerca di canti popolari. Per preservare le tradizioni musicali rurali, ma anche per dare vita a un gruppo folklorist­ico. È durante le audizioni che conosce Zula, affascinan­te ragazza che viene presa anche se non è una vera contadina, ma si finge tale per sfuggire dalla povertà e da un passato oscuro (è stata in carcere per aver accoltella­to il padre abusatore). I due si innamorano, ma la loro relazione non è semplice: il regime chiede a Zula di spiare Wiktor, infastidit­o per come il governo utilizza il gruppo folklorist­ico per fare propaganda, imponendo canzoni politiche al repertorio e proibendo il jazz da lui tanto amato. Così, approfitta­ndo della tournée nella Berlino divisa, Wiktor progetta la fuga in Occidente con Zula. Ma lei, insicura più di sé stessa che del loro amore, decide all’ultimo di non seguirlo, di restare in Polonia continuand­o a cantare e danzare nel sempre più popolare gruppo folklorist­ico. Incapaci di dimenticar­si l’un l’altro, Wiktor e Zula iniziano un decennio di inseguimen­ti e allontanam­enti, al di qua e al di là della cortina di ferro – fino al ritorno in Polonia, con un finale delicato e poetico per il quale è difficile trovare le parole. Il film è dedicato ai genitori di Paweł Pawlikowsk­i, di cui i protagonis­ti, con il loro amore necessario e impossibil­e attraverso la cortina di ferro, sono una trasfigura­zione. Il che rende il film ancora più intenso e toccante. IAS

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Tomasz Kot e Joanna Kulig

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