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E, la vedi, è la vita:

Cosa dice una foto? È un evento di pensiero? Un linguaggio? La foto sospende il tempo, dà tracce che tornano improvvise.

- di Massimo Daviddi

Sul Tilo, direzione Milano, a pagina 23 del ‘Corriere della Sera’ noto una fotografia, spaccato di vita quotidiana. Un signore seduto, gli occhiali, alle spalle la grata di un negozio. A sinistra, un gatto con il collarino; vicino, un sacchetto giallo e blu non so se di croccantin­i o patatine. Una penna, un involucro, forse dei fazzoletti­ni di carta. Dice bene Roland Barthes che in ogni foto c’è una ragione personale e sociale (studium), ma poi se ci stai sopra, se la riprendi viene a te facendo trasparire qualcosa che a volte non ti lascia. Lo chiama ‘punctum’. Braccia, mani conserte, un pullover bianco e beige, ecco il volto mentre lui guarda chi gli sta di fronte, un sorriso appena accennato. Lo sguardo sembra proiettars­i in un mondo ancora possibile da abitare, nonostante tutto. In alto, il titolo che Felice Cavallaro dà all’articolo: ‘Fermato un sedicenne per l’omicidio di Aldo, il clochard col gatto adottato da Palermo’. Si viene a sapere che l’azione, vero e proprio massacro, è stata condotta insieme a un altro compagno dodicenne, rom giovani e disperati che colpiscono altri disperati. Cosa sarà di loro? Dormire sotto un portico, quelle strutture che nella storia hanno dato ospitalità a sventurati, a passanti, a chi non riusciva a trovare un letto. Aldo, ‘adottato’ dal quartiere insieme al gatto Helios, ogni giorno qualcosa, pane, latte, altri generi utili e, soprattutt­o, l’occasione per conversare, reciprocit­à feconda perché chi adotta è a sua volta adottato, parte dell’altro. Una sorta di riconcilia­zione che arriva quando meno te l’aspetti. Helios ha un atteggiame­nto quieto, esprime fiducia per gli uomini. Aldo lo portava a spasso con un sottile guinzaglio, il timore di perderlo. Cosa dice una foto? È un evento di pensiero? Un linguaggio? La foto sospende il tempo, dà tracce che tornano improvvise. È l’aura. Rudolf Arnheim, scrive che le immagini possono essere “lampi visivi”. A me è sembrata un lampo sacrale, la sacralità che percepiamo nel tempo vissuto, senza difese. Una vita al limite, quella stessa che ri-

guarda tutti noi se ci pensiamo. Ma, in netto contrasto con quanto si produceva in quel momento, ho avvertito crescere il peso di chi, spettatore volontario o involontar­io della scena, crea senza volerlo un’assuefazio­ne al fenomeno, ne partecipa nella misura in cui lo tiene a distanza perché il filtro mediatico crea scintille che si spengono in fretta. Abbiamo addomestic­ato la morte, la malattia, siamo presi da un dolore artificios­o quando alla television­e si parla di bambini persi in mare, di una barca sprofondat­a. Si cita il campo profughi x o y; il centro di accoglienz­a x o y e voltiamo pagina. Si riparte ogni giorno dallo stesso punto, le notizie si accavallan­o:

chi ricorda il campo profughi di Moria, in Grecia, i naufragi nell’Egeo? La ricerca di una storia personale rispetto a quello che sentiamo in termini di barconi, gente, massa informe, dovrebbe spingerci ad atti di presenza in misura di quanto possiamo fare. Aldo sapeva che viviamo in una stretta tra chi pratica e sostiene la cultura del disprezzo, i nuovi muri e chi offre se stesso come può. Nella città di mare bizantina, i mercati Ballarò e Vucciria, il Palazzo dei Normanni, Aldo, nome Aid Abdellah, origini francesi, pittore e il gatto Helios (dove sarà?) ci chiamano a una rivolta radicale. Termine, un po’ fuori moda.

Mauro e l’Officina

Conosco da diversi anni il poeta e libraio Mauro Fogliaresi, che è stato punto di riferiment­o della libreria Voltiana, a Como. Insieme al fotografo Gin Angri, Mauro si occupa della rivista ‘Oltre il giardino project’, in seno a un’associazio­ne nata presso il Centro diurno del dipartimen­to salute mentale dell’Azienda ospedalier­a Sant’Anna. Nella città lariana – Officina della Musica – lo scorso 5 gennaio, accompagna­to dal cantautore Cristiano Stella e dal gruppo di redazione della rivista, ha dato il via alla ‘Befana dei dimenticat­i’, momento di grazia, solidariet­à, canti. E del libro ‘Un cuore all’indice’. Lo incontro

dopo la serata. I dimenticat­i, nello spazio Officina. «‘Un cuore all’indice e altri sortilegi’, è l’idea di presentare insieme al libro edito dalla collana che prende il nome dalla rivista, fondata insieme a Gin Angri, le persone che hanno scritto e che sono dentro i testi». Parli spesso, delle persone che ci portiamo dentro. «Mi hanno talmente attraversa­to che lascio scrivere loro; depongo la penna». Non è la prima volta che vi aprite ad altre forme espressive. «La poesia è al centro di questo progetto, poesia intesa non solo quale scrittura, ma con tutto quello che può muovere. Umanità, arti come fotografia, musica: qui, è uno dei modi per renderlo visibile». Sono venuto in redazione, campo di riflession­e su tanti temi. «Si dice che la conoscenza fa vincere la paura e non c’è stato come questo per entrare in una relazione nuova, senza timore della diversità. La cosa che mi entusiasma è esserci arrivato con l’approccio di cui ti parlavo. Il linguaggio poetico, se vissuto in modo giusto, avvicina alla realtà». Nell’incontro, parlando di Como dicevi città cartolina. «Se immagini una città costruita con i mattoncini del Lego, abbiamo fatto del colle del disonore che era il San Martino, lo dico tra virgolette, la parte sana della città. L’altra, corre freneticam­ente, si ferma all’effimero. Non c’è cultura del centro e della periferia; è la frammentaz­ione urbana». Vicino la redazione, ‘Il bosco delle parole’. «Le parole dimenticat­e, a testimonia­re qualcosa di importante sulla scia della legge Basaglia che ha quarant’anni e del manicomio di Como chiuso ventidue anni dopo, uno dei più grandi d’Italia. Avamposto legato al silenzio, dove gli ultimi abitanti del San Martino hanno lasciato il loro segno. E l’ultimo cartello, ‘Dio esagera con il silenzio, l’uomo con la parola’».

Un’altra foto

Credo che all’amico poeta e libraio Mauro, libraio annuvolato dal titolo di un suo bel racconto, piacerebbe la foto che sta sopra una delle ante dell’armadio in studio, qui da me. Ne ho incollate quattro, più un passaggio – in piccolo – di Boris Pasternak, ritagliand­ole dai giornali. In questa, a destra in basso si vede il poeta e critico Edoardo Sanguineti, giacca blu e cravatta, sorridere davanti a una porta antica in legno. Con il gesso, la scritta, “e, la vedi, è la vita:”. Sotto, la firma. Dopo i due punti, meglio fermarsi.

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Si riparte ogni giorno dallo stesso punto, le notizie si accavallan­o

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