Identità e formazione dell’insegnante
Da qualche tempo, anche in Ticino, l’identità professionale dell’insegnante è divenuta un tema saliente di riflessione e di discussione. Se ne sta occupando un gruppo di lavoro nominato dal Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport. Alcuni aspetti rilevanti della questione sono stati esaminati in alcune pubblicazioni degli ultimi anni. Il contributo più recente sul tema si trova in un fascicolo fresco di stampa della rivista di cultura, educazione e società “Verifiche” (novembre 2018, pp. 11-26). I testi che vi si pubblicano sono il risultato di un’indagine condotta lo scorso anno scolastico al Liceo di Lugano 1. Vi compaiono l’introduzione della direttrice Valeria Doratiotto Prinsi e cinque testimonianze di docenti di quella sede che, oltre ad insegnare materie diverse, appartengono a generazioni differenti: c’è chi è stato da poco incaricato dell’insegnamento, chi è nel bel mezzo della carriera e chi è giunto sulla soglia del pensionamento. I cinque resoconti offrono una varietà significativa di esperienze professionali, anche se ovviamente non esaustiva. Il dossier si completa con un’interessante lettura critica redatta da Fabio Camponovo, che è il coordinatore del gruppo di lavoro dipartimentale sull’identità professionale dell’insegnante. Si tratta di un materiale molto ricco, che suscita interrogativi e che mi suggerisce alcune considerazioni. Per cominciare noto che nelle testimonianze non manca mai l’analisi della relazione educativa con gli studenti.
Segue da pagina 16 È il segnale di quanto essa conti per un insegnante. Si colgono però anche altre questioni rilevanti della professione: il rapporto tra sapere scientifico e didattica disciplinare; la rilevanza (che per molti in realtà è irrilevanza) delle scienze dell’educazione; la differenza (che per qualcuno è invece coincidenza) tra identità personale e ruolo professionale. Tra le righe spuntano inoltre anche gli obblighi che l’insegnante ha nei confronti degli allievi, dei loro genitori, dei colleghi d’istituto eccetera. Ci si interroga sulla giusta distribuzione del tempo di lavoro tra lezioni, valutazioni, riunioni e studio. C’è chi mette a tema il dovere di ogni docente di partecipare attivamente alla comunità scolastica e chi si interroga sul valore del proprio insegnamento in una società che è caratterizzata dalla conoscenza non meno che dalle fake news. Insomma c’è molto di ciò che riguarda l’identità professionale dell’insegnante della scuola pubblica.
La formazione: una questione aperta
Chi ha orecchie per intendere però vi potrà pure trovare utili considerazioni che direttamente o indirettamente riguardano la formazione professionale dell’insegnante. Le testimonianze contribuiscono infatti, pur nella loro stringatezza, a descrivere il docente del liceo quale effettivamente è: ci dicono come egli si rappresenta il suo insegnamento; ciò che considera importante per il proprio successo professionale e ciò che invece ritiene irrilevante; se e quanto la formazione pedagogica e didattica sia stata utile ed efficace. Non sottoscrivo tutto quello che ho letto in queste pagine. Però credo che anche le considerazioni meno pertinenti abbiano una loro utilità: servono a comprendere meglio taluni ostacoli che si frappongono durante il percorso personale che porta al conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento. Chi si occupa della formazione professionale, se vuole migliorarla e renderla più efficace, deve prendere sul serio anche le obiezioni meno giustificate; deve comprenderne i motivi, provare a contestarle e al loro posto proporre argomenti convincenti. È un compito arduo, oggettivamente. Lo dico fondandomi anche sulla mia passata esperienza di docente liceale e poi di responsabile del Diploma di insegnamento per le scuole di maturità della Supsi. Le ragioni sono diverse e una di queste è certamente il carattere peculiare dell’insegnamento liceale. Il contenuto scientifico delle materie è ovviamente più importante che in altri ordini scolastici. Concretamente ciò significa che per un docente del liceo la didattica generale ha minore rilevanza della didattica disciplinare. Lo si vede anche nell’attitudine nei confronti dell’insegnamento interdisciplinare: gli si dà credito nella misura in cui esso non comporti l’azzeramento della specificità della propria materia. Perfino i principi fondamentali dell’etica e della deontologia della professione – che oggi più di ieri costituiscono una componente imprescindibile della condotta dell’insegnante – trovano applicazione il più delle volte nelle scelte didattiche che si compiono quotidianamente nella trattazione dei contenuti disciplinari. Oltre a questi aspetti, che riguardano l’identità peculiare del docente liceale, ve ne sono altri che riguardano in generale la formazione dell’insegnante: poco importa che si tratti della scuola dell’obbligo o di una scuola di maturità. La formazione professionale dell’insegnante è un problema irrisolto, non da oggi e non soltanto in Ticino. È vero che oggi la questione è più complessa di quanto non lo fosse in passato; anche per questo le difficoltà sono più evidenti. Però sarebbe un grave errore liquidarle con i soliti luoghi comuni.
Per una storia della formazione
degli insegnanti in Ticino
Abbiamo bisogno di un esame critico rigoroso e approfondito del problema. A tal fine occorre mettere in campo tutte le risorse intellettuali della ricerca educativa. Un giudizio più circostanziato può venire però anche da un’indagine storica sulla formazione degli insegnanti dalle origini della scuola pubblica ad oggi. In Ticino se ne avverte alquanto la mancanza. La pubblicazione nel 2015 del volume promosso dalla Società Demopedeutica e curato da Nelly Valsangiacomo e Marco Marcacci sulla storia della scuola pubblica ticinese contiene nei diversi capitoli alcuni utili riferimenti al tema, ma nessuno studio specifico gli è dedicato. Neppure la recente ricorrenza dell’occupazione dell’aula 20 della Scuola magistrale nel 1968 ha consentito di mettere a fuoco per davvero la questione. Occorrerebbe chiarire più di quanto non si sia fatto fin qui l’influenza della cultura pedagogica sulla formazione professionale degli insegnanti; la maggiore o minore dipendenza del modello formativo dalla scuola reale; i rapporti dell’istituto di formazione con il mondo politico, sociale e culturale circostante; gli orientamenti ideali e le scelte concrete compiute dagli organi interni all’istituto; il profilo intellettuale degli insegnanti che si sono succeduti sulle cattedre; l’origine sociale degli studenti eccetera. Ci vorrebbe uno studio interdisciplinare che consideri la diffusione delle teorie pedagogiche, l’evoluzione della metodologia dell’insegnamento, la genesi delle didattiche disciplinari eccetera. Si intuisce che sarà una ricerca storica molto impegnativa; ma i risultati conseguiti potranno ampiamente ripagare degli sforzi profusi, anche di quelli finanziari, purché si creda che per riflettere criticamente sulla formazione degli insegnanti non basti confidare in qualche moda effimera. Fu Stefano Franscini che per primo in Ticino capì la necessità dello “stabilimento di una scuola di metodo, la quale abbia ad essere frequentata da attuali maestri o da aspiranti a divenirlo”. I primi corsi di metodica (come allora si diceva) iniziarono nell’estate del 1837. Fu però soltanto nel 1873 che venne istituita la Scuola magistrale con sede dapprima a Pollegio e qualche anno più tardi a Locarno. Nel 2023 ricorrerà il centocinquantesimo anniversario della sua fondazione. C’è da augurarsi che entro quella data il Ticino possa disporre di uno studio storico approfondito, critico e non apologetico, della storia della formazione degli insegnanti da Franscini in poi. Sono convinto che una ricerca siffatta, purché sia condotta con rigore scientifico, possa dare un contributo importante alla riflessione sull’identità professionale degli insegnanti e sul futuro della loro formazione.