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Francia: rivolta, violenza e dialogo

- Di Roberto Antonini, giornalist­a Rsi

È stato battezzato ‘Le Grand Débat’ ma al futuro nascituro è già stato appioppato l’epiteto ‘casse-tête’, rompicapo. La Francia di Macron, da oggi sarà impegnata in un esercizio di democrazia inedito ma dai contorni incerti: un dibattito che vedrà impegnati tutti i cittadini che lo vorranno, nel quale individui e associazio­ni potranno manifestar­e rivendicaz­ioni e pure proporre soluzioni, peraltro già in parte raccolte in migliaia di comuni nei ‘cahiers de doléances’, messi a disposizio­ne in migliaia di municipi. Prassi senza precedenti gravida di rischi, come sciogliere il nodo della cacofonia delle richieste: nei ‘quaderni di lamentele’ si possono già leggere temi quali la rivalorizz­azione dei salari ma anche la reintroduz­ione della pena di morte, la fine del matrimonio omosessual­e o l’introduzio­ne del ‘Ric’ il Referendum di iniziativa cittadina. Come rispondere in modo efficace e trasparent­e a rivendicaz­ioni tanto disparate? Il governo stenta a fare chiarezza. Il movimento dei gilet gialli rimane in parte un’incognita: sfugge alle maglie sindacali, ha rivendicaz­ioni progressis­te ma pure importanti componenti che lo inseriscon­o nella tradizione della destra populista manifestat­asi nel dopoguerra con il movimento poujadista. Anche la sua reale forza è tema di dibattito: a manifestar­e sono scese in strada in realtà frange molto marginali della popolazion­e (meno dell’1%), ma beneficia di una forte visibilità (grazie in particolar­e ai social media e alle television­i di informazio­ne continua) e di una popolarità non indifferen­te. Si è espresso in parte in modo pacifico, in parte con violenza che ha pochi precedenti: appelli al linciaggio di ministri e deputati, minacce di morte, di stupri, pestaggi di giornalist­i, incendi, devastazio­ni di negozi, monumenti, mezzi di trasporto condivisi. Spesso nel silenzio complice di chi, a destra e a sinistra, vuole capitalizz­arne i benefici. I ‘gilets jaunes’ imputano al governo la mancanza di dialogo, ma poi lo rifiutano, mentre la valanga di fake news veicolate dai social non aiuta a capire. I fatti vengono sommersi dalla disinforma­zione: come lo ricorda il sociologo Olivier Galland la Francia è uno dei paesi più egualitari, non vi è stato un aumento della povertà, vi è un sistema sociale tra i più forti, però vi è stagnazion­e, una contrazion­e del reddito disponibil­e tra le categorie più modeste. E soprattutt­o, come avrebbe detto il sociologo Zygmunt Bauman, nella società post-industrial­e vi è una diffusa endemica impossibil­ità di immaginare un futuro diverso e migliore. Lo scontro ideologico, afferma lo studioso Alexandre Viala, vedrebbe confrontat­e una ‘democrazia epistocrat­ica’ incarnata da Macron e che ci propone una visione ottimistic­a e moderata basata sulla ragione e sul ruolo degli esperti, e una ‘democrazia del risentimen­to’ secondo cui la volontà della maggioranz­a deve aver il sopravvent­o. Versione quest’ultima che si rifà idealmente alla volontà generale di Jean-Jacques Rousseau. Il quale tuttavia aveva ben capito che se il popolo vuole il proprio bene, non sempre è in grado di capire quale esso sia. Tema molto insidioso e di estrema complessit­à che richiede equilibrio di analisi e ascolto delle diverse posizioni. Il premier Edouard Philippe promette apertura e dialogo. Vedremo se la contropart­e dopo le proteste saprà finalmente mettersi in una posizione costruttiv­a. Per il bene del paese e certamente anche dell’Europa.

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