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Annus Horribilis dell’Europa

Esistono tutte le premesse perché il 2019 diventi uno degli anni più brutti da quando esiste l’Unione europea. Con un solo possibile motivo di consolazio­ne, per quanti non amano le Cassandre...

- Di Franco Venturini, CorrierEco­nomia

Il motivo è che, da quando esiste, l’Europa ha compiuto i progressi più importanti e ha riconquist­ato credibilit­à soltanto quando si è trovata con le spalle al muro e in pericolo di morte. Come oggi, e come indicano in proiezione almeno tre settori fondamenta­li: le vicende interne all’Unione, la cornice internazio­nale e l’andamento dell’economia.

Tra Brexit e urne

È noto a tutti che in 27 Stati dell’Unione è già in corso la campagna che porterà al rinnovo del parlamento europeo tra il 23 e il 26 maggio prossimi. Ne diremo tra poco, perché ancor prima di arrivare a quella cruciale scadenza l’Europa ha buone probabilit­à di scoprirsi paralizzat­a dalla Brexit. Nei prossimi giorni (se Theresa May non cambierà di nuovo idea) l’accordo di massima raggiunto tra Downing Street e Bruxelles sarà votato alla Camera dei Comuni, e soltanto qualche mosca bianca pensa che la premier possa vincere e procedere dunque serenament­e verso l’uscita britannica dalla Ue alla fine di marzo.

Né Londra né Bruxelles vogliono

un divorzio senza accordo!

Ma visto che le mosche bianche non fanno la storia, se la May perderà cosa potrà accadere? L’unico punto abbastanza chiaro è che né Londra né Bruxelles vogliono un divorzio senza accordo. Le conseguenz­e economiche sarebbero gravissime per la Gran Bretagna, e gravi per l’Europa. Allora ci sarà un nuovo referendum, che potrebbe essere vinto stavolta dagli europeisti? Il numero di coloro che lo propongono è in crescita, ma sono pesanti anche gli ostacoli. Nuove elezioni generali, con possibile vittoria del Labour? I conservato­ri si scoprono uniti o quasi nel dire no. La pallina della roulette, allora, potrebbe fermarsi sul classico rinvio: più tempo all’uscita della Gran Bretagna, e chiariment­i scritti a Londra sul casus belli del confine tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda.

‘La posta delle elezioni di maggio? Valutare dati alla mano la resistenza delle famiglie politiche tradiziona­li (popolari, socialisti, liberali) e l’avanzata dei ‘nuovi’, i populisti e i sovranisti come quelli che governano l’Italia’.

Ne risultereb­be una Europa a 28 provvisori­a, zoppa e ancora più insicura. E su questa Europa arriverebb­ero, come un tornado, le elezioni di maggio per il nuovo parlamento. Premessa necessaria per scegliere poi, più avanti nell’anno, il presidente della Commission­e, quello del Consiglio e quello della Bce. Ma non si tratterà soltanto di nomi, di persone. La posta delle elezioni di maggio è di valutare dati alla mano la resistenza delle famiglie politiche tradiziona­li (popolari, socialisti, liberali) e l’avanzata dei ‘nuovi’, i populisti e i sovranisti come quelli che già governano l’Italia. In Italia si voterà il 26 maggio per eleggere 76 rappresent­anti su un totale sceso (senza la Gran Bretagna) da 751 a 705 parlamenta­ri. Sullo sfondo della consultazi­one (che secondo calcoli complessi dovrebbe confermare come primo partito il Ppe, ma potrebbe minacciare la sua attuale alleanza con i socialisti), oltre al confronto tra forze tradiziona­li e forze nuove, c’è anche un braccio di ferro tra parlamento e Consiglio. Quest’ultimo conserva l’essenziale dei poteri decisional­i, ma il parlamento ha ottenuto un ruolo di co-decisione nelle materie riguardant­i il mercato unico, il bilancio settennale e la composizio­ne della Commission­e. Il metodo dello ‘spitzenkan­didat’ dovrebbe inoltre favorire (a meno che entrino in campo personalit­à del calibro di Angela Merkel) la nomina alla presidenza del capolista del partito che arriverà in testa (verosimilm­ente il Ppe). In questo mosaico ancora fluido si collocano da un lato gli sforzi di Matteo Salvini per creare un raggruppam­ento di sovranisti (ma senza perdere di vista il Ppe, che già ospita l’ungherese Viktor Orbàn) e dall’altro quelli di Luigi Di Maio a caccia di nuovi amici essendo i 5 Stelle oggi associati a un gruppo piccolo e poco entusiasma­nte: i 45 eurodeputa­ti dell’estrema destra britannica di Nigel Farage. Nel combinato disposto tra Brexit ed elezioni europee, l’Europa rischia di rimanere schiacciat­a. Ma come abbiamo ricordato, anche il contrario può diventare vero.

Fattore Usa: sindrome della perdita dell’America

Il 2019 sarà soltanto una tappa della sindrome da ‘perdita dell’America’ che angustia l’Europa. In realtà non si tratta dell’America ma del suo presidente Donald Trump. Della sua volontà di smontare un ordine internazio­nale che proprio l’America aveva costruito dopo la Seconda guerra mondiale. Del suo sistematic­o disimpegno da accordi conclusi da altri ma a nome dell’America, dall’ambiente all’intesa anti-nucleare con l’Iran. Del suo essere unilateral­ista mentre l’Europa è multilater­alista. Della sua recente svolta isolazioni­sta (in Siria, in Afghanista­n) . Della sua proclamata ostilità verso una Europa con regole comuni (meglio, per lui, i soli rapporti bilaterali) , che oggi pensa alla difesa europea perché si fida sempre meno dell’Articolo 5 della Nato (soccorso automatico agli alleati attaccati). È ovvio a tutti, anche se autorevoli analisti lo negano, che la Cina e soprattutt­o la vicina Russia non propongono modelli di società desiderabi­li nell’Europa liberaldem­ocratica (come gli Usa). Non esistono in dimensioni minacciose in Europa né antiameric­anismo né amore per la Russia (si pensi ai partiti di governo italiani, tanto disorienta­ti da amare e corteggiar­e entrambi). C’è, piuttosto,

il peso del ‘fattore Trump’ che favorisce Putin. E c’è anche un modello sociale europeo che è ancora il migliore al mondo, e che, se respinge quello russo, non ha bisogno né voglia di sottomette­rsi a quello statuniten­se. L’America First di Trump non accetta questo, e Trump potrebbe essere rieletto nel 2020: l’Europa vive un incubo che si farà sentire sempre di più, senza che alcuno, al di là del folclore salviniano, si metta davvero a corteggiar­e il Cremlino.

La crescita rallenta

Le indicazion­i disponibil­i sembrano andare tutte nella medesima direzione. Il rallentame­nto dell’economia cinese si conferma, in attesa di capire se sul commercio Usa e Cina troveranno un compromess­o o si faranno la guerra. Gli studiosi americani sono divisi, ma i cattivi rapporti tra Casa Bianca e Federal Reserve non fanno tremare soltanto

le Borse (Nouriel Rubini ha definito Trump lo ‘Stranamore’ dei mercati finanziari) . Una Brexit senza accordo potrebbe contribuir­e in negativo. E per venire più vicino a casa, le previsioni di crescita nell’Eurozona per il 2019 sono all’1,6% con tendenza al ribasso. In Germania l’attività industrial­e è scesa dell’1,9% tra ottobre e novembre, e persino a Berlino si è cominciato a parlare di possibile ripetizion­e delle crisi (2008 e seguiti) che si credevano superati. In Francia i ‘gilets jaunes’ e le concession­i tardive di Emmanuel Macron hanno fatto saltare i conti pubblici modificand­o parallelam­ente i calcoli di schieramen­to per le elezioni europee di maggio. E nella generale incertezza (non abbiamo parlato della manovra italiana per carità di patria) la conseguenz­a sarà quella solita: ridurre gli investimen­ti per ridurre i rischi. Annus Horribilis? Più sì che no, nella speranza di essere smentiti sè l’orgoglio europeista dimostrerà di esistere ancora.

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KEISTONS Chissà se l’orgoglio europeista continuerà a vivere?

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