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Anche a Ginevra ‘un meccanismo per la destituzio­ne’

- Di Stefano Guerra

Buttet, Maudet, Barazzone, Savary: un ‘caso’ dopo l’altro nel 2018. «Stiamo scoprendo che in Svizzera l’élite politica non è così integra come credevamo»? A porsi la domanda è Pascal Sciarini, politologo all’Università di Ginevra. La sua risposta: «Resto convinto che i politici in Svizzera siano in generale relativame­nte integri, forse più che altrove. Sempliceme­nte, oggi il bisogno di trasparenz­a – alimentato in particolar­e dai mass media – è molto maggiore rispetto al passato».

Maudet si ostina e piazza l’asticella delle dimissioni sempre più in alto: una lunga inchiesta, un rinvio a giudizio, infine una condanna. Con quali conseguenz­e per il suo partito?

Sul piano cantonale, la vicenda ha diviso il partito: una parte del Plr ginevrino lo ha mollato. In vista delle ‘federali’ di ottobre, nel Canton Ginevra potrebbe risentirne la mobilitazi­one sia dei militanti che dell’elettorato liberale-radicale, entrambi destabiliz­zati se non arrabbiati a seguito di questa storia senza fine. Sul piano federale, non credo che la vicenda – benché molto mediatizza­ta – avrà conseguenz­e di rilievo sul Plr.

La presidente del Plr Petra Gössi ha usato parole dure nei confronti di Maudet, accusato di «calpestare i valori del partito». Non ha provocato un riflesso difensivo in seno alla sezione ginevrina, portando a serrare le file dietro il consiglier­e di Stato?

È possibile. Ma come presidente del Plr non credo potesse fare altrimenti. D’altronde, il partito nazionale si è sentito coinvolto a pieno titolo nella vicenda, perché fino a pochi mesi prima il suo gruppo parlamenta­re era stato sedotto da Maudet candidato al Consiglio federale. Ciò spiega almeno in parte la reazione dei vertici del Plr svizzero.

Maudet ha già detto che l’odierna assemblea straordina­ria dei delegati non è che “una tappa”: gli servirà sempliceme­nte per “misurare la temperatur­a” della base, ma lui – indipenden­temente dall’esito – non ne trarrà alcuna indicazion­e diretta circa l’opportunit­à di dimettersi. Ma se gli verrà a mancare un ampio sostegno, potrà ignorare il segnale? Maudet dimostra una tale ostinazion­e che, anche se verrà sconfessat­o, potrà sempre dire “va bene: il partito mi ha sconfessat­o, ma io sono stato eletto dal popolo”. Del resto, lui ha già detto che la sua legittimit­à democratic­a si fonda sul voto popolare [lo scorso aprile Maudet è stato rieletto già al primo turno in governo, diventando­ne presidente, carica poi revocata, ndr] e che è davanti al popolo – alle prossime elezioni [nel 2023, ndr] – che dovrà eventualme­nte rispondere dei suoi atti. Credo però che uno non si possa nascondere a lungo dietro la legittimit­à popolare. Non è stato fatto un sondaggio, per cui non sappiamo cosa ne pensi il ‘popolo’. Ma non sono sicuro che oggi Maudet godrebbe ancora dell’appoggio di una maggioranz­a dei ginevrini.

Una simile cocciutagg­ine da parte di un politico nel restare aggrappato a una poltrona nonostante le vicissitud­ini giudiziari­e è abbastanza singolare in Svizzera. Come se la spiega? Va detto che un caso del genere è raro in Svizzera. Però è vero che l’accaniment­o di Maudet è abbastanza spettacola­re. Molti altri, al suo posto, avrebbero già rassegnato le dimissioni. C’è chi ha fatto un passo indietro per molto meno: Géraldine Savary [la ‘senatrice’ vodese fattasi finanziare due campagne elettorali da un miliardari­o russo, ndr] ha annunciato che non si sarebbe candidata per un nuovo mandato al Consiglio degli Stati, benché i fatti che le erano imputati non abbiano avuto alcuna rilevanza penale.

C’è differenza tra la politica federale e quella cantonale?

La prima, grande differenza, è che il Consiglio federale non è eletto dal popolo ma dal Parlamento. Mentre in tutti i cantoni l’esecutivo viene eletto dal popolo. Nei cantoni, gli eletti derivano perciò la loro legittimit­à direttamen­te dalle elezioni. Possono dunque nasconders­i più facilmente dietro la legittimit­à popolare. A livello federale, inoltre, non esiste un meccanismo di revoca o destituzio­ne di un membro del governo: un consiglier­e federale non può essere forzato ad andarsene. Per contro, in alcuni cantoni (il Ticino è tra questi) è possibile revocare il governo nel suo insieme o singoli membri dell’esecutivo.

Un tale meccanismo non esiste nel Canton Ginevra. Non sarebbe opportuno introdurlo?

Le vicende recenti mostrano che un tale meccanismo – introdotto di recente a Neuchâtel – sarebbe auspicabil­e. Non tanto per servirsene, ma per creare una pressione. Nella storia della politica svizzera, spesso sono state create istanze che esistono non tanto perché vengano utilizzate, quanto per fungere da deterrente sugli eletti, affinché ne influenzin­o preventiva­mente il comportame­nto.

Maudet in un’intervista a ‘Le Temps’ ha ammesso di “aver conosciuto la solitudine di colui che pensa di poter fare tutto” e che “il potere” lo ha portato a “costruirmi una corazza così spessa che non lasciava più passare niente”. Cosa ne pensa?

Maudet ha raggiunto un tale livello di competenza e di potere, che ha perso se non il senso della realtà, quantomeno la capacità di fare autocritic­a e di accettare le critiche altrui. A un certo punto, ha creduto che tutto il bene che ha fatto a questo cantone gli permettess­e di prendersi certe libertà, come ad esempio quella di accettare questo viaggio ad Abu Dhabi e – più grave ancora – quella di accumulare le bugie per nascondern­e origine e finanziame­nto.

Il consiglier­e di Stato Pierre Maudet, sotto inchiesta per accettazio­ne di vantaggi in relazione a un viaggio ad Abu Dhabi, incontra stasera la base. In un’assemblea straordina­ria,

i delegati del Plr ginevrino dovranno dire se hanno ancora fiducia in lui oppure no. Inquadriam­o la vicenda con Pascal Sciarini, politologo dell’Università di Ginevra.

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KEYSTONE 28 novembre 2018: il Plr svizzero di Petra Gössi scarica Maudet
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KEYSTONE Presto la discesa? (Nel riquadro, Sciarini)

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