Federer si prende la scena, Murray ne esce a testa alta
Nel giorno del (probabile) commovente addio di Murray, Federer prende Melbourne di petto, con la serenità dei forti
La loro prima fatica l’hanno conclusa quasi nel medesimo istante, Roger Federer nella Rod Laver Arena riservata ai ‘padroni’ del torneo – e del tennis in senso lato –, Andy Murray nell’adiacente Melbourne Arena. Uniti nella ‘standing ovation’ loro tributata dal pubblico degli Open australiani e da un matchball disputato quasi in contemporanea. Simili anche nel blu che hanno indossato. Blu notte, quello del britannico, presagio di oscurità, calata poi sulla sua partita, sulla carriera.
Per il resto, solo contrapposizioni. Non solo nel risultato che ha promosso l’uno e estromesso l’altro, bensì anche nel destino che toglie di mezzo Murray, sfiancato e zoppicante, commovente nello sforzo comunque non premiato dal risultato, e continua ad accompagnare Federer, spingendolo verso l’agognato torneo numero 100, che poco o nulla aggiunge alla sua grandezza, ma rende tonda una cifra e simbolica un’impresa, la prossima.
Per Federer Istomin non era che il primo scoglio da superare nel mare di un 2019 da solcare, da un atollo all’altro, alla ricerca di quelle soddisfazioni che la carriera potrebbe ancora riservargli; per Murray la bella resistenza che ha offerto contro lo spagnolo Bautista Agut ha con ogni probabilità disegnato i contorni del congedo da una carriera che ha avuto in Melbourne l’ultimo approdo sicuro, prima di una serie di incognite che ne alimentano i dubbi, rendendone incerto il futuro prossimo: seconda operazione all’anca, con tempi di recupero lunghissimi e incerti (incerto, del resto, è anche il pieno recupero)? Lenta agonia fino a Londra, per salutare il tennis dal balconcino di Church Road che lo ha accolto come trionfatore nel 2013 e nel 2016? Di sicuro, farà appello alla sua coscienza, ascolterà quanto il cuore ha da dirgli, e soprattutto darà retta al fisico, e non è detto che gli suggerisca di insistere, anzi. Intanto, anticipando un po’ i tempi, gli organizzatori gli hanno reso omaggio proiettando sullo schermo le toccanti parole di alcuni illustri colleghi, impegnati a ricordarne la levatura e a ringraziarlo, per quanto fatto per il tennis che loro continueranno a praticare.
Commiato fiero e sofferto
Le ultime riserve, Murray, le scioglierà nelle prossime ore, una volta metabolizzata un’uscita di scena degna del campione che è stato e tutto sommato è ancora. Non avrebbe potuto scegliere un commiato migliore: due set sotto, prima che il cuore avesse la meglio sul fisico provato e spinto fino al limite, anzi oltre, e ne favorisse la rimonta a suon di urlacci di esaltazione, con il pubblico tutto votato alla sua causa, nella speranza, vanificata dal crollo nel quinto parziale (quando è troppo è troppo) di una rimonta epica. Bautista Agut, galantuomo della racchetta ma personalità non certo ingombrante, ha patito la situazione. Sul più bello, però, si è opposto al volere della gente, per vincerla lui, quella strana partita, come è giusto che sia. Ce l’ha fatta, e forse ha posto la parola fine in fondo ai titoli di coda della carriera di Andy Murray, salutato dai colleghi, celebrato dagli appassionati, negli stessi emozionanti minuti in cui, poco più in là, Roger Federer andava sotto la doccia per ritemprarsi dopo le fatiche del suo primo turno. D’accordo che Istomin eliminò Djokovic dal torneo due anni fa, ma di impresa isolata trattasi, difficilmente ripetibile, nello stesso contesto. Non a caso, non c’è stata storia. Anche perché questo Federer non può essere paragonato a quel Djokovic di inizio 2017.
Se per Murray Melbourne è il capolinea, per Roger non è che la prima tappa della stagione. Presa di petto – riecco la netta contrapposizione con lo scozzese – con il fisico integro e ispirato solo da certezze, in attesa di capire se nel suo impianto tecnicotattico apparirà qualche crepa. Non finora. La prima pratica l’ha liquidata con un tennis essenziale e registrato, con una condizione fisica ottimale e con una serenità che è la compagna migliore che ci sia in un viaggio che non mancherà di porlo di fronte a sfide ben più impegnative della prima, risolta in tre set, mera formalità.
Imitato, qualche ora prima, da Rafael Nadal, pimpante e reattivo, bicipiti in bella vista grazie alla canotta, atteso anch’egli a test che dicano di più circa la sua tenuta e le sue reali ambizioni australiane.