laRegione

L’uscita sbagliata

- Di Lorenzo Erroi

Si è infilata in un vicolo cieco e non ne esce. D’altronde, dopo avere ereditato la Brexit dal suo predecesso­re David Cameron, Theresa May non ne ha azzeccata una. Prima, nel giugno 2017, ha deciso di tornare alle urne nella speranza di consolidar­e la sua maggioranz­a in vista dell’addio al Continente: e invece ha perso il vantaggio assoluto e si è ritrovata costretta ad allearsi con gli Unionisti nordirland­esi, protestant­i ultranazio­nalisti che poi hanno piantato grane infinite sul ‘backstop’, ovvero la clausola che norma le relazioni doganali con l’Ue nel caso qualcosa (…)

Segue dalla Prima (…) dovesse andare storto durante la fase di transizion­e. Poi, senza nulla in mano e senza mettersi d’accordo sulle strategie col suo partito e col parlamento, ha attivato l’Articolo 50, facendo scattare il timer per l’uscita dall’Ue entro il prossimo 29 marzo. Infine se ne è andata a negoziare sola soletta, minacciata alle spalle dal fuoco amico di Westminste­r e dei Brexiteers duri e puri, fronteggia­ndo un’Europa già parecchio incarognit­a. Una posizione troppo fragile perché la sua iniziale tracotanza – “meglio nessun accordo di un cattivo accordo”, diceva nel 2017 – potesse davvero intimidire qualcuno. Il risultato è stato un estenuante pendolaris­mo fra Londra e Bruxelles, coronato dalla crisi di oggi. Però non è neppure giusto addossare tutte le colpe di quest’impasse alla povera May. C’entrano anche le manie di protagonis­mo degli oltranzist­i à la Boris Johnson, più interessat­i alle rispettive carriere che al destino della nazione. Il loro avventuris­mo è lo stesso dei pifferai che avevano promesso al popolo un’uscita facile e un radioso futuro. Vi si aggiunga il pavido machiavell­ismo dell’euroscetti­co Jeremy Corbyn: all’inizio è rimasto a guardare la campagna referendar­ia dagli spalti, sostenendo in modo assai tiepido il ‘Remain’; in seguito ha capriccios­amente vagheggiat­o una Brexit con “gli stessi identici benefici” della permanenza nel mercato comune, pur sapendo che l’Ue non si lascerà mai umiliare a tal punto. Ora il leader laburista cerca di smarcarsi dalla sua base, che chiede un secondo referendum, e si impunta sulla sfiducia – ne sapremo di più oggi – e sulle elezioni anticipate. Una prospettiv­a ancora improbabil­e, e che comunque non sblocchere­bbe un bel nulla: un nuovo governo si troverebbe di fronte lo stesso nodo di interessi, paure e incertezze che sta strozzando May. L’impression­e è che in realtà Corbyn aspetti un’uscita disastrosa per poi accreditar­si come salvatore della patria. Vedi alla voce: giocare col fuoco. In tutto questo caos, per una volta, è l’Ue ad apparire rafforzata: i suoi rappresent­anti hanno utilizzato con lungimiran­za e determinaz­ione tanto i bastoni quanto le carote, dando un’insolita dimostrazi­one di unità strategica. Ma se la paralisi di Londra dovesse risultare in un’uscita senza accordo, alla fine non si conterebbe alcun vincitore.

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