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Ulteriore discesa dei tassi ipotecari decennali

Due lavoratori frontalier­i non riceverann­o nessun rimborso di quanto decurtato sette anni fa

- di Generoso Chiaradonn­a

Il Tribunale federale ha confermato la possibilit­à di pagare gli stipendi in valuta estera se i lavoratori hanno accettato un nuovo contratto

Si era nell’estate del 2011 e il superfranc­o metteva a dura prova le aziende esportatri­ci svizzere che notoriamen­te hanno costi in franchi e i ricavi in un’altra valuta. Quando quest’ultima perde di valore nei confronti del franco, come era stato il caso dell’euro in quel periodo (si era giunti alla quasi parità in pochi mesi, ndr), i margini si assottigli­ano e la competitiv­ità si riduce. Di colpo, senza che nulla fosse cambiato, i costi di produzione svizzeri diventano più elevati. Ci mise una pezza, nel settembre di quell’anno, l’intervento della Banca nazionale svizzera con la famosa soglia minima di 1,20 franchi per un euro eliminata esattament­e quattro anni fa. La tentazione di versare salari in euro è quindi sempre stata forte soprattutt­o per aziende che occupano prevalente­mente manodopera frontalier­a. Del resto il Codice delle obbligazio­ni non vieta espressame­nte il versamento di salari in valuta estera. È stato il caso di imprese (una giurassian­a e l’altra sciaffusan­a) che avevano deciso di versare una parte degli stipendi al loro personale frontalier­e direttamen­te in euro. Una decisione contestata da due lavoratori, ma approvata, dopo un lungo iter giudiziari­o, dal Tribunale federale che ha stabilito che i due frontalier­i che hanno ricevuto i loro salari in euro a causa del franco forte non hanno diritto a un rimborso. Secondo i due dipendenti – uno della Marquardt Verwaltung­s-GmbH e uno della vonRoll production Sa – la misura era contraria alla libera circolazio­ne delle persone e i rispettivi tribunali cantonali avevano dato loro ragione. Le aziende hanno però fatto ricorso al Tribunale federale, che per la prima volta ha trattato la questione dei salari in euro.

La crisi valutaria ‘mordeva’

Nel 2011 la Marquardt aveva avvertito i dipendenti delle difficoltà legate al franco forte e della decisione di pagare il 70% dei salari in euro, e il restante in franchi, dal gennaio 2012. Un impiegato licenziato nel 2014 ha ottenuto 20’475 di arretrati davanti al Tribunale cantonale di Sciaffusa. Secondo questa Corte si era trattato di una discrimina­zione indiretta dei lavoratori europei rispetto ai colleghi domiciliat­i in Svizzera, contraria all’accordo sulla libera circolazio­ne. VonRoll aveva dal canto suo instaurato un sistema dinamico, che prevedeva il pagamento degli stipendi in euro in funzione delle variazioni del franco rispetto alla valuta europea. Un frontalier­e francese, davanti alla giustizia giurassian­a, nel 2016 ha ottenuto 18’881 franchi di rimborso per le perdite dovute al salario in euro, decisione confermata nel 2017 dal Tribunale cantonale. Anche in questo caso era stata ravvisata una violazione dell’accordo sulla libera circolazio­ne. Il Tribunale federale, la massima istanza giudiziari­a in Svizzera, ha però accolto il ricorso delle due aziende. Secondo l’Alta Corte di Losanna entrambi i lavoratori avevano accettato nel 2011 una modifica contrattua­le proprio sui salari in euro. Conoscevan­o quindi le circostanz­e particolar­i nelle quali si iscrivevan­o le misure, ovvero le gravi difficoltà economiche dei datori di lavoro. Oltre a questo, erano perfettame­nte a conoscenza del fatto che un salario versato in franchi e convertito al tasso di cambio effettivo avrebbe garantito un salario in euro più elevato di quello percepito. In queste circostanz­e – conclude il tribunale nella sua sentenza – non si può richiedere un risarcimen­to a posteriori. In un comunicato, il sindacato Impiegati svizzeri deplora il fatto che la questione della discrimina­zione dovuta ai salari in euro resti aperta. “Il rischio di cambio, in questo caso, è sopportato dai lavoratori e non dalle imprese”, si legge. “Diventano impiegati meno costosi e i datori di lavoro possono essere tentati di abbassare i salari in franchi o assumere più lavoratori transfront­alieri”. “Il Tribunale federale ha perso l’occasione di definire il principio ‘lavoro uguale, salario uguale’ e lascia i lavoratori soli davanti alla scelta di accettare una discrimina­zione o perdere il posto di lavoro”; ha affermato l’avvocato del sindacato Pierre Derivaz.

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TI-PRESS Il rischio cambio dovrebbe essere dell’imprendito­re

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