Brexit, bocciato l’accordo di May
Bocciatura storica per l’accordo di May con l’Ue. Corbyn chiede la sfiducia. Urge un Piano B
Il parlamento infligge alla premier una sconfitta senza precedenti. Ora bisogna trovare un’altra soluzione, e in fretta: in assenza di proroghe, la scadenza del 29 marzo incombe.
La premier incassa un ‘no’ con ben 230 voti di scarto. Oggi si vota sul suo futuro, ma il governo potrebbe reggere. Verso nuovi negoziati.
La sconfitta parlamentare più schiacciante mai subìta da un Primo ministro britannico. Questo il risultato del voto di ieri sera sull’accordo di Theresa May in vista della Brexit. Il Parlamento ha respinto l’intesa negoziata con l’Ue con uno scarto di ben 230 voti su 634. Contrari tutti i partiti di opposizione: i Labour di Jeremy Corbyn, i liberali, i verdi e il Partito nazionale scozzese. Ma pure gli Unionisti nordirlandesi e la doppia fronda interna allo schieramento conservatore: da una parte gli ‘hard Brexiteers’– fomentati da Boris Johnson – che da tempo denunciano l’accordo come un’uscita “solo di nome”, dall’altra i ‘Remainers’ che auspicano un accordo meno radicale o addirittura un secondo referendum. In tutto, più di un tory su tre. A nulla sono servite le ultime rassicurazioni di May, che aveva invitato i parlamentari a “mostrare al popolo che ascoltiamo la loro voce, che la loro fiducia non è malriposta”. Né sono bastate le ultime rassicurazioni informali dell’Ue circa la validità solo temporanea del backstop, la clausola sulle frontiere che costituiva il principale motivo del contendere. L’accordo prevedeva che dopo due anni di transizione, in caso non si arrivasse a una soluzione definitiva e condivisa, la Gran Bretagna dovesse rimanere nell’area doganale comunitaria (senza poter sottoscrivere da sola accordi commerciali con terzi) e l’Irlanda del Nord nel mercato unico: una minaccia all’unità del Regno secondo i detrattori, in primis gli alleati di governo unionisti. Supportato dagli altri partiti dell’opposizione, Corbyn ha subito presentato una mozione di sfiducia contro May, che ha rifiutato di dimettersi ma ha assicurato che permetterà di votare in materia già oggi. Nonostante lo scontro sulla Brexit, però, gli Unionisti hanno promesso di salvare May dall’affondamento. E così farà Johnson, anch’egli spaventato dall’idea di andare alle urne in questo caos. In ogni caso, dal voto di ieri esce potenziato il ruolo del legislativo. La premier ha già promesso che avvierà una serie di incontri interpartitici per “identificare quel che ci vuole per ottenere il sostegno del Parlamento”. Il problema è che il fronte anti-May è estremamente eterogeneo, comprendendo tanto chi vorrebbe restare in Ue quanto chi vorrebbe sbattere la porta più forte che può. Molti, dunque, sono i possibili sviluppi di quest’ennesima crisi (vedi sotto). Allo stato attuale, i progetti alternativi spaziano dal ‘modello norvegese’ – mantenimento di fatto del mercato unico, difficile da mandare giù senza più una
rappresentanza politica in seno all’Unione – al ‘Canada plus’, un semplice accordo di libero scambio. In assenza d’intesa e di un’agognata proroga, a spaventare più di tutte è l’ipotesi del ‘no deal’, un’uscita che il 29 marzo spegnerebbe improvvisamente la luce sulla Manica, con risultati economici e sociali difficilmente prevedibili. Molto dipende anche dalla disponibilità di Bruxelles, che vorrebbe limitare nuovi negoziati a variazioni sul tema dell’accordo esistente. I 27 membri dell’Unione si sono già detti disposti a eventuali proroghe della fatidica scadenza. Ma come ha ricordato con tono cupo il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, “il tempo è quasi scaduto”.