La mano dell’esperto
Temi complessi, sistema di milizia: e la politica si affida al sapere scientifico Inedita audizione pubblica ieri sull’accordo quadro con l’Ue. Il politologo Pascal Sciarini spiega qual è il ruolo degli esperti nel processo decisionale.
Dietro le porte chiuse di una commissione del Consiglio nazionale o del Consiglio degli Stati; oppure nei locali dove siedono più o meno anonime, discrete commissioni extraparlamentari, impegnate in genere a elaborare un avamprogetto di legge: fatta eccezione per le campagne in vista di una votazione popolare, in Svizzera gli ‘esperti’ restano nell’ombra durante il processo decisionale a livello federale. Non così ieri pomeriggio. Dalle 13.30 alle 16.30, i professori di diritto e gli altri esperti chiamati dalla Commissione della politica estera del Nazionale a ‘illuminare’ i loro membri sull’accordo quadro con l’Ue (cfr. a lato) – posto in consultazione il 7 dicembre dal Consiglio federale – erano addirittura in streaming sul canale YouTube del Parlamento, su sulla Srf e su diverse piattaforme online (anche su laregione.ch). Pascal Sciarini, politologo dell’Università di Ginevra, è uno dei massimi conoscitori del tema. Le sue spiegazioni.
Professore...
Sa chi sono gli esperti che partecipano oggi alle audizioni pubbliche della commissione?
Sì, la lista è sul sito del Parlamento.
Sono essenzialmente professori di diritto e uno o due economisti.
... oltre a un ex ambasciatore che insegna relazioni internazionali a San Gallo. Non ci sono politologi: la cosa la sorprende?
Sì e no. Sì, perché in Svizzera ci sono politologi che conoscono molto bene il dossier europeo, come René Schwok [dell’Università di Ginevra, ndr]. No, perché immagino che i politici in questo caso vogliano pareri puntuali, di natura giuridica o economica, piuttosto che interpretazioni o valutazioni politologiche.
Ci sono pochi politologi tra gli esperti ai quali ricorrono i politici, dunque?
Non saprei, ma sicuramente sono molti di più gli economisti e i giuristi.
Quale ruolo hanno gli esperti nel processo decisionale a livello federale?
Intervengono soprattutto nella fase preparlamentare, in particolare attraverso le commissioni d’esperti [o extraparlamentari, ndr]. Ma in molte di queste famose commissioni siedono pochi esperti veri e propri, ovvero persone che non siano legate a gruppi con interessi privati o pubblici specifici. Gli esperti nel senso stretto del termine (professori universitari, consulenti indipendenti e così via) sono in netta minoranza.
A cosa servono questi specialisti?
A questo stadio del processo decisionale, il loro compito non è soltanto quello di trovare le soluzioni tecnicamente migliori. Devono anche trovare soluzioni che siano politicamente accettabili. È la famosa ‘ipotesi di Neidhart’: per ridurre i rischi di fallimento in Parlamento o, successivamente, in votazione popolare, sono stati sviluppati questi meccanismi di consultazione e concertazione che servono appunto a trovare, se possibile, un embrione di consenso già a monte della fase parlamentare.
Perché in Svizzera i politici fanno capo agli esperti?
Essenzialmente per una ragione: i temi sono complessi e i parlamentari – in un sistema di milizia come il nostro, dove i deputati non sono politici di professione – non possono pretendere di avere tutte le conoscenze necessarie. Si ha dunque bisogno di persone in grado di portare conoscenze supplementari, a maggior ragione se si tiene conto del fatto che in Svizzera – diversamente da quanto avviene altrove – i parlamentari non dispongono nemmeno di uno staff, ma al massimo di un collaboratore o una collaboratrice a 30, 40 o tutt’al più al 50%. Di-
scorso analogo per la fase pre-parlamentare: anche qui i ‘veri’ esperti che siedono nelle commissioni extraparlamentari portano quelle conoscenze specifiche necessarie all’Amministrazione federale negli ambiti in cui a questa fanno difetto.
Quanto incidono effettivamente gli esperti nel processo decisionale? I loro pareri non hanno piuttosto un valore simbolico? Cioè: non servono anzitutto a conferire una legittimazione ‘scientifica’ a decisioni ‘politiche’?
La loro incidenza non va sopravvalutata. Ma non direi nemmeno che abbiano una funzione eminentemente simbolica. Bisogna distinguere fra temi più o meno tecnici, oppure più o meno politici. Sui temi molto tecnici, complessi, che sollevano
precise questioni scientifiche o giuridiche (come l’accordo quadro istituzionale con l’Ue), gli esperti possono svolgere un ruolo importante. Al contrario, se il tema è essenzialmente politico e magari suscita le classiche contrapposizioni ideologiche fra destra e sinistra, più Stato/meno Stato, allora gli esperti generalmente non avranno granché da dire.
Da un esperto ci si aspetta un parere professionale, ‘neutro’ su un determinato tema. Ma poi spesso sono divisi. La loro ‘legittimità tecnocratica,’ dunque, è piuttosto debole.
Non direi. Un esperto non è mai del tutto neutrale. E su temi complessi, come può esserlo l’accordo quadro con l’Ue, è quasi inevitabile avere idee differenti.