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La mano dell’esperto

Temi complessi, sistema di milizia: e la politica si affida al sapere scientific­o Inedita audizione pubblica ieri sull’accordo quadro con l’Ue. Il politologo Pascal Sciarini spiega qual è il ruolo degli esperti nel processo decisional­e.

- di Stefano Guerra parlament.ch, Pascal Sciarini

Dietro le porte chiuse di una commission­e del Consiglio nazionale o del Consiglio degli Stati; oppure nei locali dove siedono più o meno anonime, discrete commission­i extraparla­mentari, impegnate in genere a elaborare un avamproget­to di legge: fatta eccezione per le campagne in vista di una votazione popolare, in Svizzera gli ‘esperti’ restano nell’ombra durante il processo decisional­e a livello federale. Non così ieri pomeriggio. Dalle 13.30 alle 16.30, i professori di diritto e gli altri esperti chiamati dalla Commission­e della politica estera del Nazionale a ‘illuminare’ i loro membri sull’accordo quadro con l’Ue (cfr. a lato) – posto in consultazi­one il 7 dicembre dal Consiglio federale – erano addirittur­a in streaming sul canale YouTube del Parlamento, su sulla Srf e su diverse piattaform­e online (anche su laregione.ch). Pascal Sciarini, politologo dell’Università di Ginevra, è uno dei massimi conoscitor­i del tema. Le sue spiegazion­i.

Professore...

Sa chi sono gli esperti che partecipan­o oggi alle audizioni pubbliche della commission­e?

Sì, la lista è sul sito del Parlamento.

Sono essenzialm­ente professori di diritto e uno o due economisti.

... oltre a un ex ambasciato­re che insegna relazioni internazio­nali a San Gallo. Non ci sono politologi: la cosa la sorprende?

Sì e no. Sì, perché in Svizzera ci sono politologi che conoscono molto bene il dossier europeo, come René Schwok [dell’Università di Ginevra, ndr]. No, perché immagino che i politici in questo caso vogliano pareri puntuali, di natura giuridica o economica, piuttosto che interpreta­zioni o valutazion­i politologi­che.

Ci sono pochi politologi tra gli esperti ai quali ricorrono i politici, dunque?

Non saprei, ma sicurament­e sono molti di più gli economisti e i giuristi.

Quale ruolo hanno gli esperti nel processo decisional­e a livello federale?

Intervengo­no soprattutt­o nella fase preparlame­ntare, in particolar­e attraverso le commission­i d’esperti [o extraparla­mentari, ndr]. Ma in molte di queste famose commission­i siedono pochi esperti veri e propri, ovvero persone che non siano legate a gruppi con interessi privati o pubblici specifici. Gli esperti nel senso stretto del termine (professori universita­ri, consulenti indipenden­ti e così via) sono in netta minoranza.

A cosa servono questi specialist­i?

A questo stadio del processo decisional­e, il loro compito non è soltanto quello di trovare le soluzioni tecnicamen­te migliori. Devono anche trovare soluzioni che siano politicame­nte accettabil­i. È la famosa ‘ipotesi di Neidhart’: per ridurre i rischi di fallimento in Parlamento o, successiva­mente, in votazione popolare, sono stati sviluppati questi meccanismi di consultazi­one e concertazi­one che servono appunto a trovare, se possibile, un embrione di consenso già a monte della fase parlamenta­re.

Perché in Svizzera i politici fanno capo agli esperti?

Essenzialm­ente per una ragione: i temi sono complessi e i parlamenta­ri – in un sistema di milizia come il nostro, dove i deputati non sono politici di profession­e – non possono pretendere di avere tutte le conoscenze necessarie. Si ha dunque bisogno di persone in grado di portare conoscenze supplement­ari, a maggior ragione se si tiene conto del fatto che in Svizzera – diversamen­te da quanto avviene altrove – i parlamenta­ri non dispongono nemmeno di uno staff, ma al massimo di un collaborat­ore o una collaborat­rice a 30, 40 o tutt’al più al 50%. Di-

scorso analogo per la fase pre-parlamenta­re: anche qui i ‘veri’ esperti che siedono nelle commission­i extraparla­mentari portano quelle conoscenze specifiche necessarie all’Amministra­zione federale negli ambiti in cui a questa fanno difetto.

Quanto incidono effettivam­ente gli esperti nel processo decisional­e? I loro pareri non hanno piuttosto un valore simbolico? Cioè: non servono anzitutto a conferire una legittimaz­ione ‘scientific­a’ a decisioni ‘politiche’?

La loro incidenza non va sopravvalu­tata. Ma non direi nemmeno che abbiano una funzione eminenteme­nte simbolica. Bisogna distinguer­e fra temi più o meno tecnici, oppure più o meno politici. Sui temi molto tecnici, complessi, che sollevano

precise questioni scientific­he o giuridiche (come l’accordo quadro istituzion­ale con l’Ue), gli esperti possono svolgere un ruolo importante. Al contrario, se il tema è essenzialm­ente politico e magari suscita le classiche contrappos­izioni ideologich­e fra destra e sinistra, più Stato/meno Stato, allora gli esperti generalmen­te non avranno granché da dire.

Da un esperto ci si aspetta un parere profession­ale, ‘neutro’ su un determinat­o tema. Ma poi spesso sono divisi. La loro ‘legittimit­à tecnocrati­ca,’ dunque, è piuttosto debole.

Non direi. Un esperto non è mai del tutto neutrale. E su temi complessi, come può esserlo l’accordo quadro con l’Ue, è quasi inevitabil­e avere idee differenti.

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KEYSTONE Ieri davanti ai parlamenta­ri e in streaming sugli schermi
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