laRegione

Il ricordo indelebile Bortolo la rondine

- Di Graziano Sia

Segue da pagina 16 Dal chiosare dei colleghi e dei capi cantieri, si diceva di lui “che forza! Lavora come un mulo”. Fui colpito da quell’omone per la sua stazza fisica, la voce cavernosa e per ogni suo gesto, nonché la camminata strana… pareva fosse inseguito da qualcuno, nemmeno per la pausa pranzo riusciva a stare seduto 10 minuti. Lavorava sodo al mattino, non una parola né un lamento, al pomeriggio beveva birra e vino nascosti negli stivali… diveniva un po’ loquace e, canticchia­va dei singolari versi: “Oh rondinelle, voi che in ciel volate, passate una sola al mio paese! Se la mia bella piange confortate­la, donate a lei la forza e il coraggio! Ditele che felice sarà al mio ritorno, ma ora m’hanno fatto prigionier­o”. Rabbrividi­vo ascoltando l’accorato canto, finché un pomeriggio gli chiesi: “Bortolo, perché canti sempre questi versi?”. Divenne serio, accese il sigaro, poggiò la sua mano sulla mia spalla e riprese a parlare. “Avevo 22 anni, la tua età quando fui chiamato in guerra, lasciai la mia giovane sposa e il figliolett­o di pochi mesi, erano la mia vita! Nell’ottobre del 1943, fui fatto prigionier­o a Spalato. Ci caricarono in quei maledetti convogli della morte… durante una delle estenuanti fermate, un graduato nazista tentava di sottrarre il bimbo agonizzant­e alla mamma ebrea, mi frapposi tra i due e mi svegliai nel vagone sanguinant­e. Pagai il mio umano gesto, mi deportaron­o a Mauthausen. Arrivati al lager, fummo presi dallo sgomento… stesero delle coperte dove deponemmo i vestiti e i pochi ricordi. Rimasti nudi, ci rasarono la testa e diedero a ciascuno un vestito da carcerato a linee verticali di color blu, grigio e bianco con triangoli colorati per distinguer­e le categorie: di color verde i criminali, nero gli asociali, rosa per gli omosessual­i… e una stella di Davide di color giallo per gli Ebrei. Ricordo quel fumo grigio e denso che saliva dai camini e velava il sole, l’odore acre che irritava le narici… l’odore dei nostri fratelli morti. Il trattament­o più disumano era riservato agli Ebrei, le possibilit­à di sopravvive­re erano nulle. Ci davano da mangiare all’aperto, il cibo scarso e freddo, più volte si digiunava, era fortunato chi trovava qualche buccia di patate. Grazie a Dio, a Mauthausen rimasi pochi mesi e grazie all’esperienza da minatore e al mio fisico, venni trasferito in un campo satellite, lavorai allo scavo di gallerie per la produzione del materiale bellico. Solo il desiderio d’abbracciar­e i miei cari mi dava un’esile speranza di vita. Nel vedere gli intrecci gioiosi delle rondini affidavo a loro il mio messaggio d’amore”. Una lunga pausa mentre i suoi occhi s’arrossavan­o… insieme ai miei, singhiozza­ndo riprese: “La casa era vuota, solo mio padre era lì ad aspettarmi e mi strinse for- te in un disperato abbraccio”. Bortolo andò via in ottobre, come una rondine solitaria lontana dallo stormo, fissandolo nel vuoto dello sguardo gli chiesi: “Dove vai Bortolo? Perché vai via?”. Rispose: “È dal maggio del ’45, che vado e vago per il mondo senza una meta…”. Buona fortuna ragazzo.

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