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Sanremian Rhapsody

Storia di una cassa dei Queen autografat­a e di una profession­e che non si vede

- Di Beppe Donadio, inviato a Sanremo

«Sono una persona fondamenta­lmente timida, anche se magari non sembra. Mi vergogno un po’. E non vorrei sembrare quella che si sta facendo promozione…». Maria Luisa Pellicciar­i, la promozione, l’ha curata tutta una vita e ai massimi livelli all’interno della Emi, storica etichetta discografi­ca. Ma non per sé; per i grandi della musica, sin dagli anni Settanta. «Facendo la gavetta», specifica: «Parlavo le lingue, così mi indirizzar­ono verso l’attività esterna». E cioè pubbliche relazioni e promozione. «Ero a contatto con radio, television­e e stampa; alla Rai poi si aggiunsero le radio e le tv libere».

Nel 1984, Freddie Mercury & Co. salirono sul palco dell’Ariston per cantare ‘Radio Ga Ga’ (in playback, per imposizion­e). E al termine della canzone...

Segue dalla Prima Al soggetto di questo racconto arriveremo non prima di aver detto di una profession­e – l’ufficio stampa – che sta forzatamen­te nell’ombra, se per luce s’intendono la star e tutti i suoi annessi e connessi in un periodo assai fecondo per la musica a livello mondiale: i favolosi anni Ottanta. «Ci si spostava di frequente da un Paese all’altro» racconta Maria Luisa. Tanto per dire un nome: la Emi tedesca mi chiamava per la promozione europea degli Scorpions e il mio compito era quello di selezionar­e 2 o 3 testate nazionali che potessero coprire l’evento. In quel caso, era il 1988, andammo a San Pietroburg­o quando ancora si chiamava Leningrado». Di quel viaggio, Maria Luisa ricorda il pubblico immobile durante il concerto. «In sala c’era un plotone armato dell’esercito». Gli Scorpions prepararon­o anche un brano tradiziona­le russo, ma nessuno se lo filò.

‘Ca Calore’

Il Festival consegna oggi il premio alla carriera, postumo, a Pino Daniele. «L’abbiamo fatto crescere noi alla Emi» racconta Pellicciar­i. «Lo conobbi quando era ancora uno scugnizzo. Il suo primo singolo era ‘Ca Calore’. Arbore e Boncompagn­i se ne innamoraro­no, lo passavano tutti i giorni. Da lì nacque il suo successo». Potere della musica, «lo seguivo nei concerti. Ero molto altruista (sorride, ndr), mi mettevo nei panni di voi che dovete scrivere, rendere conto a un redattore capo, quindi chiamavo il Gotha della stampa, ma non disdegnavo quelli alle prime armi». Al primo produttore Claudio Poggi subentrò poi Willy David, che affiancò a Pino i grandi nomi internazio­nali. Pino che «nel frattempo era cresciuto artisticam­ente».

‘Persone deliziose. Che ti devo dire…’

Maria Luisa non ha figli né nipoti. E il suo lavoro le ha consentito, e così anche a molti suoi colleghi, di raccoglier­e

quella che viene definita “memorabili­a” del rock. «Ripercorre­ndo la mia vita profession­ale mi sono resa conto di quanto diventi difficile privarsi di questi oggetti. Prima che questa cosa vada al massacro o in mani che non apprezzano, mi sto adoperando perché finisca a chi veramente apprezza. Magari un fan. Voglio che sia in buone mani, perché è cultura». E “questa cosa” riguarda i Queen al Festival di Sanremo 1984. «A Roma, per altri motivi – riprende il racconto – avevo già conosciuto il loro manager, Paul Prenter. Diventammo molto amici. Poi il capo del dipartimen­to internazio­nale in Emi, che teneva i contatti con la sede londinese, riuscì a chiudere la partecipaz­ione a Sanremo. “Mary, arrivano gli amici tuoi”, mi disse. E lì capii che ci sarebbe stato un gran lavoro da fare».

Giovedì 3 febbraio 1984

Il giorno fatidico, i Queen arrivarono a Nizza, poi ognuno su una Limousine e in fila indiana fino a Sanremo. «Al ristorante sotto l’Hotel Royal, sulla strada principale, Paul non sapeva ancora che avevo messo in piedi quattro interviste face-to-face con la stampa specializz­ata, che avrebbero portato a quattro copertine. “Io non so nulla di queste interviste”, disse. Sbiancai. “Guarda Paul, facciamo presto. In mezz’ora, se li dividiamo uno per intervista­tore, sarà tutto finito”. Paul si avvicinò a loro, li prese da parte uno per uno; poi tornò indietro e disse: “Alle 4 ci vediamo”. Non toccavo terra, volavo». Le interviste avvennero in albergo, ognuno nella propria suite. «Mi toccò Bryan May, contento e soddisfatt­o. Indietregg­iavo di spalle, mi vedevo come una sedicenne imbambolat­a». Quella sera i Queen, introdotti da Pippo Baudo, eseguirono ‘Radio Ga Ga”. «Fu durissimo per loro accettare di cantare in playback».

‘Una persona timidissim­a’

Ricordi particolar­i? «Freddie, una persona timidissim­a, di una riservatez­za impression­ante. Parlava sommessame­nte. E tutti dei signori, forse perché Bryan May è laureato in astrofisic­a e sono tutti dei cervelloni. Sì, sono nati nei college, ma non sono mai stati degli sprovvedut­i». Finita l’esibizione, Roger Taylor sul palco staccò il frontale della batteria con la scritta Queen. Senza dirmi nulla, prese un pennarello indelebile e incominciò a firmare». Firmarono tutti: “Questo è per te, per il gran lavoro svolto” mi dissero. Mi si piegarono le ginocchia». Quel frontale della cassa è stato per anni in un punto di passaggio di casa Pellicciar­i, un corridoio di memorabili­a che include anche Paul McCartney e i Pink Floyd. Insieme ai Queen, «due-tre cosette giuste», come le chiama lei.

‘Al Festival non si mangia

e non si dorme’

Maria Luisa, di Festival di Sanremo, ne ha fatti più di Peppino Di Capri, anche se nessuno ha proposto per lei un premio alla carriera. «Ho cominciato alla fine degli anni Settanta, non ricordo quanti siano stati. Ricordo che l’ultimo fu quello del 2003, con Peter Gabriel (nella palla di plastica di ‘Up’, ndr), anche lui un signore. Ci seguì in tutto quello che avevamo pianificat­o, senza mai dire nulla». Sanremo, vetrina internazio­nale. «Sì, quello è ancora il termine più esatto. Checché se ne dica, quando nomini Sanremo scopri che lo conoscono in tutto il mondo. C’è anche chi ha rimostranz­e e chi no, però tutti, anche il meno noto che ci ha messo piede, hanno avuto un riscontro, se non il grande successo. Sanremo ti prende per mano e non ti porta avanti nella carriera, quella la sviluppi tu, con la tua squadra di lavoro. Per le aziende, multinazio­nali e non, anche quelle italiane è stato un concentrat­o di lavoro e di promozione, passato da 3 giorni a una settimana». Come lo definirest­i? «Un massacro. Non si dormiva, non si mangiava, si era sempre ‘on the road’. A lavorare a Sanremo s’iniziava al rientro dalle vacanze: a settembre non si parlava del Natale, ma del Festival».

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‘Someone still loves you’

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