Un nome da re e i sogni di bambino
Nato a Morges ma cresciuto a Grandvaux – piccolo villaggio tra Vevey e Losanna («la più bella regione della Svizzera») –, Lavanchy confessa di aver «sempre sognato di diventare calciatore professionista. Il mio primo ricordo sono i Mondiali del 2002 (aveva 8 anni, ndr) e in particolare Ronaldo, che aveva trascinato il Brasile al successo. Le sue giocate, quelle di Ronaldinho e in seguito anche Zidane mi hanno fatto sognare». E un po’ ancora sogna, visto che ha deciso che a 25 anni è ancora troppo presto per accantonare definitivamente la speranza di arrivare un giorno a vestire la maglia della nazionale rossocrociata, lui che ha svolto tutta la trafila nelle selezioni giovanili fino alla U20... «Direi che in questo momento la fascia destra è piuttosto ben occupata, anche se proprio la storia di Mbabu insegna che tutto può cambiare molto velocemente. Non posso dire che è un obiettivo che ho in testa, non avrebbe senso mettermi pressione per niente, ma un sogno quello sì». Un sogno importante, come il nome che porta... «Deriva da Numa Pompilio, secondo re di Roma. Ai miei genitori è sempre piaciuto, ma quando è nato mio fratello maggiore se ne sono un po’ dimenticati e hanno optato per Theo, salvo poi ricordarsene e darlo a me. Non è un nome comune, ma conosco anche un’altra persona che si chiama così». Amante della lettura e dei film tratti da storie vere, ha frequentato per un anno l’Alta Scuola d’ingegneria e di gestione di Yverdon «quando giocavo in Challenge, poi ho lasciato questa strada quando sono passato al Gc, sarebbe stato troppo impegnativo. Ma un giorno la riprenderò». SC