laRegione

Quella mano fiduciosa…

- Di Nicoletta Noi-Togni

È la sera del 13 gennaio 2019: una domenica sera. Il cielo da noi è bello, s’annuncia una falce di luna dal colore dell’oro. Tutto è quieto e ordinato, le ultime famiglie rientrano ai loro domicili dopo la giornata di settimanal­e ricreazion­e. Tutto normale, una sera qualunque. Ma cenando mi accorgo che il cibo non vuole scendere nella gola. Continuo a vedere quell’immagine catturata – con cattiva coscienza tra l’altro – qualche ora prima su Internet. Un’immagine normale, di due bambini normali. Due bambini seduti vicino, il piccolo con la testa appoggiata sul petto della sorellina più grande, la mano infantile abbandonat­a a lato del corpo. Una mano dall’impronta ancora infantile, una mano uguale a quella di tanti altri bambini che fiduciosi cercano la protezione della sorella più grande. Nulla lascia pensare a qualcosa di insolito in quella fotografia. Eppure… Percorro con il pensiero le strade di Coira che conosco bene. Anche lì le famiglie a quest’ora saranno rientrate e sarà tutto normale. Una qualunque sera di domenica in una città di provincia dove non succede mai niente. Questa sera cade però la neve, le strade ne sono ampiamente ingombre e una palazzina, senza pretese ma pulita e ordinata, reca le tracce di un evento terrifican­te. L’incendio che solo poche ore prima ha distrutto la vita di due bambini e del loro papà. Nel quale probabilme­nte credevano, al quale si affidavano. Giovani corpi e giovani menti, fatti per quella vita che non vivranno più. Mi chiedo come sarà stata solo ventiquatt­ro ore fa la vita di quei bambini. Avranno riso, giocato come tutti gli altri bambini? O avranno avuto un presagio di quanto sarebbe successo loro durante la notte? E se si potessero girare all’indietro le lancette dell’orologio, chissà se qualcuno si sarebbe interrogat­o su quei bambini, su loro padre; chissà se qualcuno sarebbe uscito dall’indifferen­za del “privato” per osservare meglio, per chiedere, per vigilare. Ma già, chi vigila, chi deve vigilare? Fatto è che nessuno nella palazzina di 38 appartamen­ti sapeva qualcosa di questa famiglia. Viviamo accanto gli uni agli altri senza sapere niente gli uni degli altri. A poca distanza tra l’altro: lo prova il fatto che in quell’incendio potevano morire molte altre persone tanta e tale è la vicinanza di chi ci vive. Chiediamoc­i finalmente se in questo mondo di fragilità, di famiglie spezzate, di gioia sì, ma anche di sofferenza e di solitudine, in questo mondo nel quale troppe volte si confonde la libertà con l’egoismo, il diritto con la prevaricaz­ione del sentire degli altri, non valga la pena infrangere la barriera del “privato”, non si debba grattare la vernice della “normalità” per evitare tragedie come quella che ha fatto due vittime innocenti e rinserrars­i per sempre la mano fiduciosa di un bimbo; un bimbo come tanti altri, che come tutti gli altri aveva il diritto di vivere.

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