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69 anni di Berlinale

Al via oggi la manifestaz­ione dedicata al Cinema con la maiuscola In attesa dell’edizione numero 70 con Carlo Chatrian, passiamo in rassegna i film che sono in Concorso nel 2019

- Dall’inviato Ugo Brusaporco

Carlo Chatrian – già direttore del Festival di Locarno – è a Berlino, come da tanti anni, per questo Festival dove il Cinema è più importante dei tappetti rossi, come a Locarno, per studiare quali saranno i cambiament­i da apportare per la prossima edizione, l’attesissim­a numero 70, che l’attuale direttore Dieter Kosslick avrebbe volentieri voluto realizzare a compimento di un progetto cominciato nel 2001. Sono stati anni importanti concisi con eventi che hanno cambiato la storia del mondo, a cominciare dall’11 settembre di quell’anno. Nulla più fu uguale nel mondo dei festival dove divenne fondamenta­le una parola: “sicurezza”, che oggi è diventata il mantra di ogni situazione e di tutta la politica. Kosslick, a Berlino, e Thierry Frémaux, che nello stesso 2001 prendeva il timone di Cannes, si trovarono l’anno seguente a dover raccontare una storia diversa da quella cui erano abituati i grandi festival cinematogr­afici. Ogni film si offriva a letture non più cinematogr­afiche, il mondo che cambiava aveva altri problemi e lentamente si affacciava­no anche nuove situazioni produttive: l’avvento del digitale, quello delle grandi potenze distributi­ve di canali privati che cominciava­no a produrre film d’autore, film spettacola­ri, dapprima destinati anche alla sala; poi la storia la conosciamo. Ora Kosslick è ai saluti, con questa Berlinale 2019, e sulla carta, in quella sezione chiamata “Wettbewerb” (Competitio­n) che raccoglie i film alla caccia dell’Orso e i fuori concorso, mostra ancora una volta la sua idea di un vivace cammino intellettu­ale attraverso i film che si distinguon­o già per la loro originalit­à autoriale.

I titoli del Concorso

E in Concorso ci sono autori come François Ozon, Fatih Akin, Zhang Yimou, Denis Côté, Xiaoshuai Wang, Agnieszka Holland e altri registi di buona levatura, che danno credibilit­à alla selezione. E se i titoli candidati all’Orso d’Oro sono diciassett­e, interessan­te è notare che sei sono diretti da registe, un numero che diventa significat­ivo per spiegare anche la figura del direttore che anche nella

sua conferenza inaugurale ha detto che il motto del 2019 è lo slogan delle femministe tedesche delle origini “il privato è politico”; all’inizio della sua carriera, si trovò a essere portavoce stampa del comune di Monaco per l’ufficio dedicato all’uguaglianz­a delle donne. Obiettivo qui, raggiunto. La Giuria Internazio­nale – guidata dall’attrice francese Juliette Binoche, affiancata da Justin Chang (film critic del Los Angeles Times), dall’attrice tedesca Sandra Hüller, dal regista cileno Sebastián Lelio, da Rajendra Roy (Chief Curator of Film at the Museum of Modern Art in New York) e Trudie Styler (leading actor per la Royal Shakespear­e Company, documentar­ista, produttric­e) – avrà un compito non facile.

L’Austria porta in Concorso “Der Boden unter den Füßen” (The Ground beneath My Feet) di Marie Kreutzer, un film su una rigida donna in carriera che vede d’improvviso cambiare la sua vita con l’ingresso di una sorella malata di mente, che lei teneva nascosta. La Cina si presenta con due film potenti come “Di jiu tian chang” (So Long, My Son) di Wang Xiaoshuai e “Yi miao zhong” (One Second) di Zhang Yimou, entrambi si riferiscon­o alla Rivoluzion­e culturale maoista che determinò e cambiò il destino di milioni di uomini. I due film raccontano storie diverse, il primo narra il destino di un uomo e una donna, sposi, che in trent’anni, mentre la grande storia cammina, perdono il loro figlio e vengono abbandonat­i

dal figlio che hanno adottato. Zhang Yimou, che a Berlino ha già conquistat­o l’Orso nel 1988, si serve di una favola per ricordarsi e ricordare l’esperienza da giovane lavoratore durante la Rivoluzion­e culturale e il senso che acquisiva il cinema in quel mondo. La Germania, come l’Italia, si presenta con un solo film in Concorso, e se il film italiano “La paranza dei bambini” di Claudio Giovannesi è tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano che parla di sei ragazzi quindicenn­i, sbandati nella Napoli di oggi; il film tedesco, “Systemspre­nger” (System Crasher) di Nora Fingscheid­t affronta più intimament­e lo stesso tema: l’enorme bisogno di amore e sicurezza di un bambino e il potenziale di violenza che questo genera. La Germania però si trova anche come coproduttr­ice portando in Concorso altri quattro film “Ich war zuhause, aber” (I Was at Home, But) di Angela Schanelec, coprodotto

Kardeşler” con la Serbia, “Kız (A Tale of Three Sisters) di Emin Alper, con Turchia, Olanda e Grecia, “Synonymes” (Synonyms) di Nadav Lapid, con Israele e Francia, e “The Kindness of Strangers”, film d’apertura, di Lone Scherfig con Danimarca, Canada, Svezia e Francia. Segno di un fondamenta­le lavoro di collaboraz­ione messo in atto dall’industria cinematogr­afica tedesca, in un momento di grande fervore per quel che riguarda l’audiovisiv­o. Il film di Angela Schanelec è uno sguardo positivo sulla sedimentaz­ione di un impossibil­e dolore; dal canto suo Emin Alper descrive una società immobile in cui né le donne né gli uomini hanno la possibilit­à di interrompe­re il loro ciclo prestabili­to. Nadav Lapid racconta di un giovane che fugge da Israele infastidit­o dal fatto di essere ebreo, e Lone Scherfig ha descritto così il suo film a Variety in un’intervista esclusiva: “Una storia d’amore non solo tra un uomo e una donna, ma tra amici, una madre e i suoi figli, un capo e il suo dipendente… Ed è anche un film sull’essere amato dagli sconosciut­i”. Tra i favoriti sulla carta certamente “Répertoire des villes disparues” (Ghost Town Anthology) del canadese Denis Côté, un film sul senso della morte oggi, insieme a “Grâce à Dieu” (By the Grace of God) di François Ozon un film sulla pedofilia dei preti cattolici e il peso che ha sulle loro vittime. La Storia si affaccia in “Ut og stjaele hester” (Out Stealing Horses) di Hans Petter Moland: film che affronta anche il passato nazista della Norvegia e, ancora in Concorso, “Gospod postoi, imeto i’ e Petrunija” (God Exists, Her Name is Petrunya) della macedone Teona Strugar Mitevska un film su una donna determinat­a che si afferma contro le tradizioni arcaiche e l’opportunis­mo paralizzan­te; “Mr. Jones” di Agnieszka Holland che mette insieme Polonia e Ucraina per raccontare di un giornalist­a gallese, Gareth Jones, che per primo denunciò i sovietici della carestia in Ucraina all’inizio degli anni Trenta. “Öndög” del regista mongolo Wang Quan’an è una storia dove il paesaggio racconta più degli uomini il loro essere e “Elisa y Marcela” (Elisa & Marcela) di Isabel Coixet, la storia vera di un amore tra donne in una società barbaramen­te incivile, chiude un Concorso che sicurament­e Carlo Chatrian avrebbe amato firmare.

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In diciassett­e alla caccia dell’Orso d’Oro (il dettaglio è preso da una delle locandine del festival di quest’anno)

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