laRegione

Il buono, il brutto, il così così

Al giro di boa del giovedì, appuntamen­to con le pagelle della ‘Regione’

- Di Beppe Donadio

Dalla perla di Silvestri, giù giù fino a Federica Carta e al trapper che cita Vasco. Motta si chiede ‘Dov’è l’Italia, amore mio?’; proviamo a spiegargli­elo noi (senza alcuna pretesa di verità assoluta...)

Francesco Renga, ‘Aspetto che torni’ – Bungaro tra gli autori accende sempre una lampadina, ma il brano – troppo lieve – non regge il Renga – troppo sinfonico. Giudizio: avercene, comunque.

Nino D’Angelo e Livio Cori, ‘Un’altra luce’ – Il ragazzo della curva B, con la fidanzata carina che ti chiedevi perché lui sì e io no, non c’è più da un pezzo. Dice in conferenza: «Peter Gabriel mi ha insegnato che si può fare musica anche con pochi accordi». Ma Peter Gabriel non intendeva così pochi. Giudizio: buio in sala.

Nek, ‘Mi farò trovare pronto’ – Il Neviani dal pregevole look canta un tunztunz-rock di pregevole fattura con pregevole intonazion­e. Giudizio: Pregio della Critica.

Zen Circus, ‘L’amore è una dittatura’ – I testi di Appino – un Tricarico con rock band al seguito – brillano più nell’autoanalis­i (‘Catene’) che nella denuncia sociale (‘Zingara’). E questo splendido ritratto dell’umana condizione – coreografi­camente tra Orwell e il Palio di Siena – è un calcio nel didietro. Giudizio: venghino siori, venghino.

Il Volo, ‘Musica che resta’ – “Baciami l’anima” è concetto nanniniano che sfiora il “trottolino amoroso”, ma l’ovazione della Scala del pop ha senso. E pure condiviso. Giudizio: la notte vola.

Loredana Berté, ‘Cosa ti aspetti da me’ – Testo alla Vasco – manca solo qualche “va beh” – il motivo c’è: a scrivere è Curreri. Parafrasan­do il Fossati, che meglio scrisse per lei, Loredana non lascia la scia. Giudizio: alla carriera.

Daniele Silvestri, ‘Argento vivo’ – È teatro canzone esteso al rap, è ‘L’uomo col megafono’ che chiude il cerchio lasciando tutti ‘A bocca chiusa’ (Sanremo 2013). Giudizio: oro puro.

Federica Carta e Shade, ‘Senza farlo apposta’ – Il brano sta, per contenuti, un gradino sotto ‘Un jeans e una maglietta’. Il verso “Da quando hai buttato le Barbie per giocare con le persone”

capovolge un classico della festa della salamina intitolato “Alle donne piacciono i bastardi”, facendo presente che, evidenteme­nte, agli uomini piacciono le str **** . Giudizio: Carta canta (ma scripta non manent).

Ultimo, ‘I tuoi particolar­i’ – La formula ricorrente del crescendo con incazzatur­a finale alla Fabrizio Moro (ma senza le mani in tasca) ricorre anche qui, come in molte (troppe) sue cose. Ma è in odore di santità, e stampa e pubblico femminile porteranno il romano molto in alto. Giudizio: Urtimo.

Paola Turci, ‘L’ultimo ostacolo’ – Signor brano cantato da signora cantante. La Patty Smith romana nelle mani del produttore Chiaravall­i non sbaglia un colpo (nemmeno con la voce non al meglio). Giudizio: oltre (l’ostacolo).

Motta, ‘Dov’è l’Italia’ – Premio Tenco per Premio Tenco, Brunori con ‘L’uomo nero’ diceva le cose come stanno. Quest’Italia appena accennata, questo vorrei ma (è meglio che) non posso, è un’occasione persa. Giudizio: dov’è Motta?

BoomDaBash, ‘Per un milione’ – I BoomDaTras­h snocciolan­o paragoni del tipo “come una mamma aspetta quell’ecografia” e “come i bimbi aspettano il Natale” per i quali si sono mossi onnipresen­ti come Cheope (‘Battito animale’, ‘Nessun grado di separazion­e’, ‘Il diario degli errori’) e Federica Abbate (‘Roma Bangkok’ e i piagnistei di Alessandra Amoroso). L’orecchiabi­lità è tanta quanto i passaggi radiofonic­i futuri. Giudizio: comunque, nemmeno per 10 franchi.

Patty Pravo con Briga, ‘Un po’ come la vita’ – “Sono venuta a fare, una passeggiat­a o a cantare?”. Problemi tecnici (un impellente bisogno fisiologic­o del pianista) frenano nonna Patty acconciata biondo-rasta e il nipote superdotat­o (di voce) Briga. Poi, la loro ‘Un po’ come la vita’ scorre. Come la vita. Giudizio: Bene, Pravo, bis.

Simone Cristicchi, ‘Abbi cura di me’ – Più che una canzone, un ciclo di sedute psicanalit­iche per le quali bisognereb­be pagare 100 franchi ogni ascolto. “Il tempo ti cambia fuori, l’amore ti cambia dentro”. Porca miseria quanto è vero, Simone. Giudizio: ti regalerò una cura.

Achille Lauro, ‘Rolls Royce’ – Con il chitarrist­a tamarro alla sua sinistra sdrammatiz­za il trapper coi 500 euro sotto le ascelle e la carta igienica Dolce e Gabbana. Al Casinò potrebbe portarsi via l’intera posta. Giudizio: jackpot.

Arisa, ‘Mi sento bene’ – Quando canta, Rosalba Pippa agli altri cantanti gli fa il cognome. Nuovo inno alla ‘Semplicità’, il pezzo ha ricordato tutto, da Cher agli Earth Wind & Fire fino ai Ricchi e Pove- ri. E il già sentito è – il Maestro Morricone autorizza – il segreto del successo popolare. Giudizio: Superpippa.

Negrita, ‘I ragazzi stanno bene’ – Il tema iniziale e finale è ‘L’estate sta finendo’, e calza come un calzino a righe lungo sotto un pantalone a quadri corto. Ma – Ruggeri docet – noblesse oblige. Giudizio: nobili.

Ghemon, ‘Rose viola’ – Nome da videogame, gran voce, pezzo filo-R’n’B dove “è il bene che vince e il male che perde” (cit. Ruggero). Giudizio: Sì, ma anGheno.

Einar, ‘Parole nuove’ – Nome da aperitivo contro il logorio della vita moderna, gareggia con Ultimo per arrivare primo (ed essere il nuovo Eros). Ma la canzone è un optional. Giudizio: Fatti un Einar.

Ex-Otago, ‘Solo una canzone’ – Riletto e riascoltat­o, il verso “Scoprire nuove tenebre tra le tue cosce dietro le orecchie” a noi rimanda sempre a una delle varianti più entusiasma­nti del Kamasutra. Ma non chiamatelo indie. Giudizio: se si votasse da 1 a 70, allora 69.

Anna Tatangelo, ‘Le nostre anime di notte’ – Con un incipit come “Quante bugie ci siamo detti, amore” il pensiero va subito a D’Alessio, ma pure a ‘Non chiamarmi Annarella’, hit di Tony Tammaro che va ascoltata. Anche calata dentro melodie pausiniane, la ragazza di periferia resta impeccabil­e. Giudizio: ragazza di discografi­a.

Irama, ‘La ragazza con il cuore di latta’ – Sotto un testo importante c’è il nulla cosmico; il coro gospel c’entra come un assolo di Angus Young su ‘Fin che la barca va’. Un tentativo di sensibiliz­zazione che sa di furbata. Giudizio: Ira.

Enrico Nigiotti, ‘Nonno Hollywood’ – Il nonno di Superman, quello che accoglie in casa il piccolo Clark Kent prima di morire d’infarto, ci ha lasciato un ricordo più rassicuran­te di “Mi mancano i tuoi fischi mentre stai a pisciare”. Ma “nonno mi hai lasciato dentro ad un mondo a pile, centri commercial­i al posto del cortile” vendica il pisciatoio. Forse non nuovissima, ma è un fior di canzone. Giudizio: c’è poco da scherzare.

Mahmood, ‘Soldi’ – L’italo-egiziano Alessandro già aveva spettinato tutti nella gara di dicembre che l’aveva portato nei Big. È world music, è il vero nuovo che avanza in mezzo a finti giovani. Giudizio: (parafrasan­do Annarella) ragazzo di periferia.

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PH LETIZIA REYNAUD In foto, solo il bello

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