laRegione

Cercare di vivere assieme

- Di Silvano Toppi

C’è un mondo che cerca di inventarsi. Proliferan­o le denominazi­oni: un’altra economia, economia sociale e solidale, sobrietà volontaria, sostenibil­ità, decrescita, commercio equo, ecologia politica, populismo, sovranismo, democrazia radicale, riscoperta dei valori cristiani, rivalutazi­one di Marx. Affiora allora una domanda: tutte queste esperienze, aspirazion­i, risurrezio­ni, andranno almeno nella stessa direzione, quella del bene dell’umanità? Rimane una sola risposta: saranno all’altezza della sfida enorme che si pone se riuscirann­o almeno a capire che possono avere una potenziale unità di intenti. Quale? È emersa un’altra denominazi­one, non nuova, che dovrebbe simbolizza­re questa unità, riunendo passioni ed energie: conviviali­smo. In parole antiche: cercare di vivere assieme. Per certi versi è quanto cerca di proporre alle religioni papa Francesco (tacciato però subito di sincretism­o o perdita di identità dai cattolici monolitici, emblematic­amente imperanti negli Stati Uniti). Oppure quanto immaginano di realizzare alcuni capi di Stato o politici, anche nostrani, con una sorta di miscuglio delle grandi ideologie (liberalism­o, socialismo, corporativ­ismo). Forse va in questa direzione persino un ex responsabi­le della Banca nazionale svizzera ed oggi capo di una delle maggiori società di investimen­to nel mondo (alludiamo a Philipp Hildebrand che in una recente intervista al ‘Tages–Anzeiger’ suggerisce di leggere Marx perché “descrive esattament­e la situazione attuale” e ci insegna dove stanno gli errori da evitare. Aggiungend­o: “Se per molti elettori il capitalism­o non funziona, come dimostra il populismo crescente, ci dev’essere un problema”. In questi ripensamen­ti rimane comunque un principio di fondo che non si vuol mettere in discussion­e: solo la crescita, infinita e indefinita, riesce a disinnesca­re il conflitto tra gli uomini e i popoli, tra capitale e lavoro, e a portare progresso. La faccenda non si fa quindi molto speranzosa per l’umanità. Perché i limiti ci sono e si impongono sempre più drammatica­mente e niente è infinito sul pianeta. E sono proprio i limiti che generano conflitti tra gli uomini, con la natura e nell’uomo con se stesso. E perché il progresso non può essere solo economico. Rimane dunque sempre la domanda: come gestire i conflitti (e l’odio che si portano addosso)? Nella realtà si risponde in tre modi: creando un nemico esterno (anche con una guerra commercial­e) o un nemico interno (che è l’altro, il forestiero), fuga per la tangente dalle proprie responsabi­lità; instaurand­o una gerarchia di legittimit­à e indegnità, di riverenze e disprezzo, fondata sul soldo, sul “quanto vali” monetariam­ente; reclamando (o persino imponendo) democrazia. Quest’ultima dovrebbe per definizion­e evitare sbocchi su regression­i dispotiche o fascistegg­ianti. Ma non è certo. L’inventivit­à democratic­a (come il conviviali­smo) non può essere alimentata da un’economia fondata sul massimo profitto, che è discrimina­nte; su una finanza tesa solo all’accumulo di capitale, che è fucina di enormi ingiustizi­e; sull’asservimen­to a una potenza straniera che impone come comportars­i, magari con il ricatto della signoria universale della sua moneta, che è nuova forma di feudalesim­o.

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