Dopo Utoya ‘il cuore non si aggiusta più’
Ceppi di legno tagliati a metà, pavimento ricoperto di specchi rotti, denso fumo. È questa la scenografia che ha accolto il pubblico del Teatro Sociale di Bellinzona mercoledì sera, in occasione di ‘Utoya’, spettacolo di Edoardo Erba ispirato dal libro-inchiesta di Luca Mariani ‘La strage sugli innocenti’. Elementi, questi sul palco, che suggeriscono una divisione netta come quella che separa i protagonisti, che allontana due ideologie politiche opposte, che ha spaccato in due il cuore della Norvegia dopo la strage del 22 luglio 2011. Arianna Scommegna e Mattia Fabris si dimostrano abilissimi nell’interpretare, ognuno, tre personaggi diversi, passando da uno all’altro senza cambi di costume: basta l’uso del corpo, della voce e dei gesti per calarsi perfettamente nelle parti e trasmettere emozioni diverse e contrastanti. Si tratta di due coniugi in crisi, con una figlia a Utoya per il campeggio dei giovani laburisti; due poliziotti di pattuglia a 750 metri dall’isola; due fratelli proprietari di un’azienda agricola accanto alla fattoria affittata dall’attentatore. La strage non viene dunque raccontata da chi l’ha vissuta in prima persona, ma da spettatori esterni. Il meccanismo che si crea è angosciante: nonostante non venga mostrata violenza, si percepisce tutto il terrore, l’angoscia, l’incredulità e – soprattutto – l’impotenza. “Da noi non succedono queste cose: questa non è Oslo, è Baghdad”, è uno dei commenti increduli e offuscati dal pregiudizio di un personaggio. Eppure, la strage è avvenuta proprio in Norvegia ed è stata commessa da “uno di noi”. ‘Utoya’ dimostra l’importanza di indagare il presente ed è fondamentale la sua volontà di far ragionare il pubblico. Porta in primo piano la matrice politica della strage: mette l’accento sul fatto che l’attentatore abbia attaccato il partito laburista secondo un piano ben preciso ed evidenzia la potenziale distruttività di una fede cieca e malata in un ideale. Invita ad aprire gli occhi su un evento terribile che non ci è così lontano come sembra, né geograficamente né, tanto meno, ideologicamente.