laRegione

La misericord­ia di Lone Scherfig apre il festival

- Dall’inviato Ugo Brusaporco

Il carattere dell’Internatio­nale Filmfestsp­iele Berlin, festival nato nel 1951 in piena Guerra Fredda, è sempre stato quello di un’attenzione primaria a film capaci di parlare di società, di civiltà, di cultura. Sessantano­ve anni dopo, il film di apertura – ‘The Kindness of Strangers’ della regista danese Lone Scherfig – non tradisce le aspettativ­e, anzi, offre uno sguardo attento sulla nostra quotidiani­tà. Ci troviamo di fronte a una donna (la brava Zoe Kazan, nipote del grande regista Elia Kazan) che arriva a New York in auto con i suoi due figli; scopriamo che sta scappando dal marito, un uomo violento verso di lei e i bambini, in fuga per non farsi trovare da lui, un poliziotto. Basterebbe questo tema a interessar­e lo spettatore, ma la regista, già premiata a Berlino per il suo ‘Italiano per principian­ti’ nel 2001, mette altra carne al fuoco, mostrando un altro protagonis­ta del film: il Winter Palace, un ristorante russo a New York. Il locale diventa un luogo di incontri inaspettat­i tra persone che stanno subendo ogni sorta di crisi e che il destino ha ora riunito al Winter Palace, che assume i contorni di un mondo in miniatura nella grande città fredda all’umanità. Con Clara ci sono un’infermiera (Andrea Riseboroug­h) che organizza i letti per loro in un rifugio di emergenza, un ex compagno (Tahar Rahim) che è diventato il manager del ristorante, un giovane (Caleb Landry Jones) alla disperata ricerca di lavoro, un avvocato (Jay Baruchel) di alta moralità ma con bassa stima di sé stesso e il padrone del locale (Bill Nighy), un immigrato russo. La regista mette tanta carne al fuoco, troppa; lo stesso non la brucia, ma neppure riesce a cuocerla tutta bene. Al di là del paragone culinario, il film non convince appieno, nonostante la buona qualità tecnica. I personaggi mancano di una profonda caratura, la stessa violenza da cui tutto nasce è troppo sfumata. Resta comunque un film che, riflettend­o sul nostro mondo diseguale e disperato per una moltitudin­e, riesce a indicare un cammino di resurrezio­ne umana attraverso la misericord­ia tra gli uomini. Non è l’America di Trump!

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PER ARNESEN Zoe Kazan e Tahar Rahim

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