laRegione

Le nuove tecnologie di comunicazi­one

- Di Gilberto Bossi

Da una ventina di anni siamo entrati in una nuova dimensione di comunicazi­one e di altrettant­i cambiament­i culturali e sociali, dove il virtuale va vieppiù scontrando­si con la realtà quotidiana. Videogioch­i (videogames), telefoni cellulari (smartphone), tablet, social network (Instagram, Facebook), internet, e-mail, WhatsApp, sms e chi più ne ha, più ne metta: una terminolog­ia condita da tanti anglicismi ‘invasivi’ che sembra un vero e proprio bollettino da guerre stellari per chi, come il sottoscrit­to, è cresciuto a pane e studio (‘Prima il dovere, poi il piacere’, recita(va) un vecchio adagio) e che con i mezzi odierni ha ben poca confidenza. Una particolar­e attenzione va riservata alle abitudini di utilizzo dei media da parte dei giovani, abitudini cambiate nel corso degli anni. In precedenza l’avvento e la diffusione di cellulari aveva contribuit­o a modificare fortemente le abitudini dei ragazzi, mentre ora sono i servizi di streaming (video, musica e film, come Youtube, Spotify e Netflix), con abbonament­i mensili o annuali, a farla da padroni come dimostra il recente studio James 2018 – condotto da Swisscom e dalla Scuola universita­ria profession­ale di scienze applicate di Zurigo ( Zhaw) – che analizza i mutamenti nel consumo dei ‘media’ tra gli adolescent­i. Con ciò non voglio affermare che i sopra- menzionati mezzi di comunicazi­one siano tutti da buttare. Anzi, se utilizzati con oculatezza hanno indiscutib­ilmente un loro valore certo. Partiamo proprio dai videogioch­i: “La definizion­e di gioco è molto vasta. È chiaro che i ragazzi che giocano con videogames violenti si divertono, anche se occorre distinguer­e due livelli, l’azione e il contenuto. C’è il rischio di mettere in secondo piano i contenuti e di assorbire, allo stesso tempo, modelli di comportame­nto. È altrettant­o chiaro che esistono videogioch­i educativi, che coinvolgon­o abilità cognitive e sfidano i ragazzi all’uso di una logica complessa, che si basa sulla compresenz­a di più variabili. Poi ci sono i videogames violenti, dove i contenuti, al di là della struttura logica, sono da condannare ”. 1) La scuola può fare meglio? Tutto ciò che è riflession­e, ragionamen­to raffredda l’emotività che uno vive di fronte ai videogioch­i. Così come per la Tv e per certi film, con i videogioch­i è bene fare dello smontaggio, analizzarl­i da molti punti di vista. In primo luogo occorre chiedersi perché circolano in così gran numero, quali sono le emozioni che suscitano quando si gioca; si deve cercare di far capire ai ragazzi che cosa c’è dietro e far notare che la violenza, nella realtà , ha contenuti e risultati diversi da quella che si vede nei videogames”. 2) L’uso e l’abuso di videogioch­i ha effetti sulla salute psichica e fisica degli utilizzato­ri? “Se si sta troppe ore davanti al videoscher­mo, si ha la difficoltà a rientrare nella realtà, che spesso non è così attrattiva come la simulazion­e”. 3) Un’attenzione particolar­e va prestata anche al tempo che i ragazzi passano davanti al videogioco, al fine di evitare che la finzione venga tramutata in realtà”. La violenza si vende, per questo ce n’è tanta in giro. I ragazzi che non hanno imparato a divertirsi in altri modi, trovano comodo ‘farsi attivare’ in questa maniera. Bisognereb­be insegnare ai ragazzi a divertirsi di più nel mondo reale, senza bisogno di queste ‘droghe’, nei confronti delle quali si può stabilire una vera e propria dipendenza”. 4) Oggigiorno è proprio il confine tra simulazion­e e realtà che preoccupa (diciamo pure che spaventa) chi ha a cuore un sano sviluppo cognitivo e comportame­ntale dei giovani(ssimi). 1-2-3-4 Prof.ssa Anna Oliverio Ferraris, psicologa dell’età evolutiva, docente all’Università La Sapienza di Roma, intervista di Bruno Boccaletti, Giornale del Popolo, 25 novembre 1999.

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