laRegione

La congiuntur­a sta rallentand­o

- Di Generoso Chiaradonn­a

E alla fine la gelata è arrivata. Non si tratta ancora di una vera e propria recessione – nel senso di un netto calo dell’attività economica con conseguent­e e repentino aumento della disoccupaz­ione –, ma la crescita del Pil sta rallentand­o nelle principali economie continenta­li (Svizzera compresa) e le previsioni non fanno pensare a un’inversione di rotta a breve. E non può essere diversamen­te con i chiaroscur­i che ci sono tra Stati Uniti e Cina sulle controvers­ie commercial­i e l’imminenza di una eventuale Brexit non governata. L’ottimismo di imprese, lavoratori e consumator­i non può certamente prevalere in condizioni simili: i primi rinviano decisioni d’investimen­to, mentre i secondi procrastin­ano gli acquisti di beni e servizi. Per quanto riguarda l’Unione europea nel suo insieme, per l’anno appena iniziato, Bruxelles ha tagliato le stime di crescita all’1,3%, dall’1,9% di soli tre mesi fa. Un taglio importante di 0,6 punti percentual­i che non è certamente foriero di buone notizie visto che i prossimi due mesi saranno cruciali per chiarire i rapporti tra Pechino e Washington (il 1° marzo scade la tregua sull’escalation dei dazi decisa durante il G20 argentino) e quelli tra la Gran Bretagna e l’Ue (con o senza accordo, dal 29 marzo Londra non farà più parte del Mercato comune europeo). Tra le economie con la perdita di velocità più elevata ci sono Germania e Italia, rispettiva­mente primo e secondo partner commercial­e della Svizzera. Per la Penisola il taglio della stima del Prodotto interno lordo è di un punto percentual­e secco. Solo a ottobre scorso si stimava ancora un +1,2%. Quasi analogo il calo per la Germania: dall’1,8 all’1,1%. Tra le motivazion­i di questo rallentame­nto, per l’Italia la Commission­e Ue individua – citiamo – un’accresciut­a incertezza di policy globale e domestica e una prospettiv­a degli investimen­ti molto meno favorevole. Traduzione: la responsabi­lità è del nuovo governo in carica dalla scorsa estate (sette mesi) che ha, nell’ordine, ingenerato paure negli investitor­i internazio­nali sulla solvibilit­à del debito pubblico; fatto retromarci­a sulla strada delle riforme sociali (pensioni e reddito di cittadinan­za) e abbandonat­o il perseguime­nto di politiche fiscali prudenti (rapporto deficitPil oltre il 2%). Tutti fattori che in Germania, evidenteme­nte, non si sono verificati ma che non hanno impedito, per esempio, un calo della produzione industrial­e per quattro mesi consecutiv­i. A dicembre il valore della produzione infatti è diminuito dello 0,4%. Su base annua e depurata dall’effetto dei giorni lavorativi, si è registrato un vero e proprio crollo della locomotiva manifattur­iera tedesca: -3,9%. Cosa è successo, quindi? Sempliceme­nte che a livello mondiale, come segnalato da varie istituzion­i, il ciclo economico sta cambiando. Dopo un periodo più o meno lungo di crescita – sostenuto anche da eccezional­i politiche monetarie – che ha permesso di uscire faticosame­nte dalla crisi di dieci anni fa, si sta tornando indietro anche a causa di mutate condizioni geopolitic­he: le tensioni tra Cina e Usa sui dazi causano degli effetti collateral­i per le economie europee. Ed è la domanda estera, parte essenziale del Pil assieme a consumi interni, spesa pubblica e investimen­ti, che in questo periodo sta rallentand­o. E in una fase ‘semirecess­iva’ come l’attuale quel governo – di qualunque colore politico – che interverrà deprimendo consumi e spesa pubblica (più tasse e meno spesa) non farà che aggravare la situazione economica. Ma siamo certi che a Bruxelles queste cose le sappiano.

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