‘Prima di uccidere don Renzo ha bussato alla mia porta’
L’allora vicario del ‘sacerdote dei profughi’ parla dopo vent’anni di quei tragici istanti
Un silenzio durato vent’anni, quello di don Giovanni Meroni. Sino a martedì a Uggiate Trevano, quando nel corso della messa solenne per Sant’Anna, la patrona delle donne, per la prima volta, ha parlato in pubblico della morte violenta di don Renzo Beretta, ucciso con una coltellata da un migrante ospitato nel ‘Centro svizzero per profughi respinti’ che il sacerdote aveva realizzato nel campanile della chiesa parrocchiale di Ponte Chiasso. All’epoca don Meroni era il vicario del ‘sacerdote dei profughi’. Oltre duecento le parrocchiane che hanno ascoltato la testimonianza di don Meroni, attualmente parroco in Val d’Intelvi. «Don Renzo accoglieva i kosovari respinti dalla Svizzera. Sino a 70 per notte. Un periodo di grande fatica e di forte preoccupazione. Qui ci scappa il morto. Mi ripetevo. Non è importante se uccidono un prete, uno in più uno in meno non cambia niente, ma se ammazzano un parrocchiano, cosa succede? Una preoccupazione, la mia, che manifestavo a don Renzo, ma lui non ne voleva sapere di non ospitare i migranti». La memoria torna al gennaio 1999. «Il profugo che ha ucciso don Renzo aveva bussato alla mia porta, ma non gli aprii. Bussò quindi alla porta di don Renzo, che aprì. Sentii diversi colpi, come se stessero picchiando chiodi in un muro, per cui scesi per capire cosa stesse succedendo. L’aggressore stava riponendo il coltello in tasca. Lo colpii con un ombrello, che si ruppe. Don Renzo sembrava svenuto, ripeteva che non era successo niente. La lama del coltello l’aveva trapassato dal petto alla schiena». Don Meroni si era trovato a gestire il rifugio di accoglienza svizzero, che si era svuotato in un baleno. «Il centro era da tempo fuori controllo, per cui decisi di chiuderlo. Gli ospiti erano tutti armati, ognuno di loro aveva un coltello. Se scappavano in Svizzera, venivano presi con i rottweiler: tornavano maciullati. E capite in quali organi». Don Giovanni Meroni si è soffermato anche sul processo all’omicida, celebrato in udienza preliminare: la Curia si era costituita parte civile, chiedendo un euro quale risarcimento. «Una costituzione di parte civile per bloccare sul nascere storie infamanti che circolavano su di noi. Era opportuno metterle a tacere». Parole che hanno lasciato sgomente le parrocchiane. «Ho proposto la beatificazione di don Renzo, perché è stato un bravissimo prete. Ha vissuto l’emergenza dei profughi, perché nessuno interveniva». L’esperienza che don Meroni ha vissuto al fianco di don Renzo Beretta è scritta in un diario di 327 pagine del sacerdote che nessuno è riuscito a leggere. M.M.