Lanciareunsegnale non basta
A giudicare dalla selva di gru che spuntano ovunque, dai palazzi e palazzine che soppiantano case (anche recenti) e antiche ville, dai molti obbrobri edilizi che si vedono in giro, dal tasso di sfitto alle stelle e dalla foga con cui casse pensione e altri attori chiave del mercato immobiliare (speculatori vari, imprese di costruzione e chi vi gravita intorno) continuano ad accaparrarsi terreni pur di costruirvi sopra qualcosa, si direbbe che non ci sia nulla di rallegrante nell’attesa, netta bocciatura dell’iniziativa dei Giovani Verdi ‘contro la dispersione degli insediamenti’. Forse stavolta era il caso di lanciare un segnale.
Segue dalla Prima Forse questa – come ritenevano centinaia di architetti e pianificatori, anche dei più illustri, firmatari di un appello in tal senso – era davvero l’occasione giusta per cambiare finalmente logica. Forse. Il fatto è che da un’iniziativa popolare ci si aspetta qualcosa di più che un segnale. Un indirizzo chiaro e strumenti adeguati (o perlomeno realisticamente realizzabili), almeno. Ebbene, il primo c’era; i secondi no. I promotori, ad esempio, non sono mai stati in grado di spiegare in modo convincente come si sarebbe potuto compensare l’azzonamento di un terreno in un certo Comune con un dezonamento in un altro, e soprattutto chi avrebbe dovuto pilotare simili, ingarbugliate operazioni. E di fronte all’argomento i Giovani Verdi hanno avuto il merito di suscitare un vivace, benvenuto dibattito sulla pianificazione del territorio, dibattito purtroppo non coronato da una partecipazione al voto all’altezza della posta in gioco (37,4%, peggio del solito...). Non sono però stati capaci di spiegare perché già adesso – soltanto pochi anni dopo l’entrata in vigore di nuove e severe norme (quelle della Lpt e quelle relative alle abitazioni secondarie) – fosse necessario cambiare paradigma, introdurre un concetto completamente nuovo nella pianificazione del territorio. Tanto più che questa sembra finalmente produrre i primi, timidi effetti dopo decenni di eccessi; e che il Tribunale federale si sta dimostrando inflessibile nel far applicare rigorosamente le nuove disposizioni. L’iniziativa non offriva alcuna garanzia nemmeno contro il fenomeno che oggi più preoccupa chi in Svizzera si batte per la protezione del paesaggio: il boom edilizio che va avanti da tempo al di fuori delle zone edificabili. Il tema è oggetto della seconda tappa della revisione della Lpt, che proprio in questi giorni arriva sui banchi del Parlamento. E visti i venti che soffiano (tra le file dei partiti borghesi la spinta ad allentare i vincoli esistenti si fa già sentire), è positivo il fatto che diverse associazioni – tra le quali la Fondazione svizzera per la tutela del paesaggio e Pro Natura – si siano messe assieme per lanciare (in marzo, verosimilmente) due nuove iniziative popolari: una per ribadire la centralità della separazione tra zone edificabili e non edificabili; l’altra per arginare la drammatica perdita di biodiversità, certificata ormai da diversi, autorevoli studi e riconosciuta dallo stesso Consiglio federale.