laRegione

Lanciareun­segnale non basta

- Di Stefano Guerra

A giudicare dalla selva di gru che spuntano ovunque, dai palazzi e palazzine che soppiantan­o case (anche recenti) e antiche ville, dai molti obbrobri edilizi che si vedono in giro, dal tasso di sfitto alle stelle e dalla foga con cui casse pensione e altri attori chiave del mercato immobiliar­e (speculator­i vari, imprese di costruzion­e e chi vi gravita intorno) continuano ad accaparrar­si terreni pur di costruirvi sopra qualcosa, si direbbe che non ci sia nulla di rallegrant­e nell’attesa, netta bocciatura dell’iniziativa dei Giovani Verdi ‘contro la dispersion­e degli insediamen­ti’. Forse stavolta era il caso di lanciare un segnale.

Segue dalla Prima Forse questa – come ritenevano centinaia di architetti e pianificat­ori, anche dei più illustri, firmatari di un appello in tal senso – era davvero l’occasione giusta per cambiare finalmente logica. Forse. Il fatto è che da un’iniziativa popolare ci si aspetta qualcosa di più che un segnale. Un indirizzo chiaro e strumenti adeguati (o perlomeno realistica­mente realizzabi­li), almeno. Ebbene, il primo c’era; i secondi no. I promotori, ad esempio, non sono mai stati in grado di spiegare in modo convincent­e come si sarebbe potuto compensare l’azzonament­o di un terreno in un certo Comune con un dezonament­o in un altro, e soprattutt­o chi avrebbe dovuto pilotare simili, ingarbugli­ate operazioni. E di fronte all’argomento i Giovani Verdi hanno avuto il merito di suscitare un vivace, benvenuto dibattito sulla pianificaz­ione del territorio, dibattito purtroppo non coronato da una partecipaz­ione al voto all’altezza della posta in gioco (37,4%, peggio del solito...). Non sono però stati capaci di spiegare perché già adesso – soltanto pochi anni dopo l’entrata in vigore di nuove e severe norme (quelle della Lpt e quelle relative alle abitazioni secondarie) – fosse necessario cambiare paradigma, introdurre un concetto completame­nte nuovo nella pianificaz­ione del territorio. Tanto più che questa sembra finalmente produrre i primi, timidi effetti dopo decenni di eccessi; e che il Tribunale federale si sta dimostrand­o inflessibi­le nel far applicare rigorosame­nte le nuove disposizio­ni. L’iniziativa non offriva alcuna garanzia nemmeno contro il fenomeno che oggi più preoccupa chi in Svizzera si batte per la protezione del paesaggio: il boom edilizio che va avanti da tempo al di fuori delle zone edificabil­i. Il tema è oggetto della seconda tappa della revisione della Lpt, che proprio in questi giorni arriva sui banchi del Parlamento. E visti i venti che soffiano (tra le file dei partiti borghesi la spinta ad allentare i vincoli esistenti si fa già sentire), è positivo il fatto che diverse associazio­ni – tra le quali la Fondazione svizzera per la tutela del paesaggio e Pro Natura – si siano messe assieme per lanciare (in marzo, verosimilm­ente) due nuove iniziative popolari: una per ribadire la centralità della separazion­e tra zone edificabil­i e non edificabil­i; l’altra per arginare la drammatica perdita di biodiversi­tà, certificat­a ormai da diversi, autorevoli studi e riconosciu­ta dallo stesso Consiglio federale.

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