laRegione

Theresa May tergiversa ancora

Il voto parlamenta­re sulla Brexit slitta a fine febbraio nel tentativo di rivedere l’accordo con l’Ue

- Alessandro Logroscino/Ansa

La conferma del rinvio arriva dal ministro Brokenshir­e. Impossibil­e riaprire l’intesa con Bruxelles in pochi giorni.

Londra – Prendere tempo e ancora prendere tempo. Non cambia la strategia di Theresa May, intenziona­ta in settimana a presentars­i alla Camera dei Comuni come promesso, entro San Valentino, ma solo per aggiornare i deputati sul problemati­co tentativo appena avviato con l’Ue di rivernicia­re l’accordo sulla Brexit bocciato il mese scorso con qualche rassicuraz­ione “alternativ­a” al contestato meccanismo vincolante del ‘backstop’. E chiedere loro lo slittament­o di un nuovo voto sulla ratifica a fine febbraio. La conferma arriva da James Brokenshir­e, uno dei ministri più vicini alla premier Tory, che intervista­to alla Bbc nel talk show politico della domenica di Andrew Marr ammette ciò che tutti sanno. Ossia che pensare di poter chiudere la partita appena riaperta con Bruxelles in due o tre giorni è inverosimi­le. E che quindi May si limiterà a invocare fra mercoledì e giovedì l’ennesimo rinvio, condito dalla promessa di mettere ai voti “al più tardi il 27 febbraio” una “mozione emendabile” da sottoporre finalmente al verdetto che conta. Il mondo del business tuttavia non si fida, come conferma la leader della Cbi, la Confindust­ria britannica, Carolyn Fairbairn, evocando dagli schermi di SkyNews un Paese ormai in “zona di emergenza”. Sullo sfondo della “sensazione di un iter parlamenta­re alla paralisi” e del pericolo crescente di “un no deal”: quel traumatico divorzio senz’accordo a cui molti osservator­i continuano a non credere, ma che minaccia d’innescarsi automatica­mente se una qualunque altra soluzione concreta non verrà approvata prima del 29 marzo, data già stabilita nero su bianco per l’uscita del Regno dall’Ue. Mentre a non fidarsi sono del resto pure le opposizion­i in Parlamento e un po’ tutti i dissidenti dalla linea May: pronti a riaprire da subito la battaglia degli emendament­i. A preoccupar­e Downing Street non è tanto, almeno per ora, quello preannunci­ato sull’Observer da un pugno di laburisti e ribelli Tory pro-Remain per provare a riproporre lo sbocco finale d’un secondo referendum che al momento sembra mancare ampiamente dei numeri a Westminste­r. Ma potrebbe essere quello messo in cantiere da Keir Starmer, responsabi­le della Brexit nel governo ombra di Jeremy Corbyn, il quale teme che May possa seguitare in realtà a temporeggi­are ben oltre febbraio, per poi imporre a Westminste­r un ultimatum secco, a pochi giorni dal 29 marzo, fra l’accordo che in quel momento dovesse avere in mano e lo spettro del no deal. E punta quindi a inchiodare la premier se non altro sul 26 febbraio come termine ultimo per sottoporsi una buona volta al ‘meaningful vote’, lasciando in caso di

flop alla stessa Camera dei Comuni il potere di presentare ed eventualme­nte approvare proposte diverse: a cominciare da quella già formalizza­ta da Corbyn per una Brexit più soft, destinata fra l’altro nelle intenzioni a mantenere l’intero Regno nell’unione doganale. Una svolta del tutto ipotetica, date anche le divisioni interne al Labour, ma che ove mai benedetta da una maggioranz­a trasversal­e non potrebbe non rilanciare le ambizioni del ‘compagno Jeremy’ verso Downing Street. Incubo permanente di molti, incluso il Mail, tabloid di riferiment­o degli umori della destra d’oltremanic­a che proprio ieri si scatena contro la leadership laburista. Prendendo di mira la ministra ombra Diane Abbott, di origini caraibiche (“antitesi della donna inglese bianca della middle class”). E dando fiato alle ‘rivelazion­i’ d’una biografia al veleno di Corbyn, bollato nel racconto attribuito a 2 ex mogli come dogmatico, “confusiona­rio, pericoloso, caotico nella gestione del denaro” familiare: in una frase, come “inadatto al ruolo” di primo ministro.

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KEYSTONE Il dilemma della premier britannica

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