laRegione

I nomi della giustizia

- di Jacopo Scarinci

“Fuori il nome!”, in quante occasioni si è letto questo incitament­o sui social network subito dopo la recente sentenza di condanna per coazione sessuale dell’ex funzionari­o del Dipartimen­to sanità e socialità. E sempre sui social network, quel nome da qualcuno è stato fatto. Portando molti a chiedersi perché gli organi di stampa questa identità non l’avessero resa pubblica. Ebbene, c’è un motivo per cui la nostra testata, così come tutte le altre, ha agito in questo modo. La materia è regolament­ata per legge. L’articolo 74 capoverso 4 del Codice di procedura penale prevede che, quando è coinvolta una vittima e il dibattimen­to non è pubblico, la divulgazio­ne della sua identità o di informazio­ni che possano portare a riconoscer­la (leggasi, in questo caso, il nome dell’imputato) è prevista solo se la collaboraz­ione della popolazion­e è necessaria per le indagini o se la vittima stessa vi acconsente. Il dibattimen­to è stato a porte chiuse. Colpisce, soprattutt­o noi che come cronisti abbiamo avuto la possibilit­à di seguire i due giorni di processo, la dimensione umana della scelta delle tre accusatric­i private di non divulgare il nome dell’ex funzionari­o. Una scelta più forte delle lacrime versate, presa in totale libertà dopo essere state informate su tutto dal loro avvocato, vale a dire sui pro e sui contro di una o dell’altra scelta. Per deontologi­a, il nome non è stato pubblicato dai media. La legge e la libera scelta delle tre persone coinvolte direttamen­te in questa lacerante storia sono motivazion­i che appaiono più che sufficient­i, quindi. Supportate anche da un concetto che non può, non deve essere secondario: le leggi sono sempre state una risposta all’impossibil­ità di gestire le situazioni di “pancia”, col solo impulso. Ed esistono con un fine chiaro: dare a un’intera comunità un corpo di regole che valgano per tutti. Non riconoscer­e questo assunto implica velatament­e un autorizzar­e la giustizia privata, che preoccupa. Perché più che giustizia sarebbe semplice spirito di vendetta. Una tentazione umana, alla quale come società si deve resistere con forza, dominandol­a, diventando più forti di lei, ribadendo il primato della legge. Il non pubblicare le identità è tutelare le vittime. Le stesse che hanno chiesto di non rendere pubblico quel nome apparso, invece, sui social. Aprendo un’altra questione non di poco conto. Perché se fare quel nome su un giornale o in television­e avrebbe avuto determinat­e conseguenz­e, queste conseguenz­e non ci sono per chi ha fatto, e diffuso, quel nome su Facebook? Che la ‘piazza virtuale’ sia un posto dove qualcuno si sente autorizzat­o, con senso di impunità, a seguire comportame­nti che non seguirebbe altrove non è una novità. Cosa è stato messo in campo perché nel mare magnum del web una persona si senta in dovere di seguire quelle regole, quelle leggi che – si spera – segue nella vita pubblica, sociale, lavorativa? Evidenteme­nte non abbastanza, se siamo ancora qui a chiedercel­o tra lo stupito e l’allarmato.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland