Dove il reddito di cittadinanza lo garantiscono le mafie
Roma – Giovanissimi e pronti a tutto. Le nuove leve della criminalità organizzata si distinguono per la mancanza di riferimenti in una società che sembra non dare loro alternative se non l’affiliazione ai clan. L’allarme sulle mutate dinamiche di arruolamento e impiego della manovalanza criminale da parte di Cosa Nostra, ’ndrangheta, Camorra – e delle principali mafie straniere – è contenuto nella Relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia presentata ieri: le giovani generazioni sono ormai la linfa vitale delle mafie; i boss ragazzini e i picciotti minorenni sono quasi lo stesso numero degli affiliati sopra i quarant’anni. E vogliono prendersi tutto il potere. Accanto a una mafia che cerca sempre più imprenditori e liberi professionisti, che – nelle parole del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho – usa l’indice non per sparare ma per fare clic su un mouse e far sparire milioni di euro provenienti dai traffici illeciti, c’è una mafia sempre più giovane, reclutata prevalentemente nelle città del Sud, dove “una crisi sociale diffusa non sembra offrire ai giovani valide alternative per una emancipazione dalla cultura mafiosa”. I numeri lo confermano: negli ultimi cinque anni non solo si sono registrati casi di “mafiosi” con età tra i 14 e i 18 anni, ma gli appartenenti alle cosche tra i 18 e i 40 anni sono tanti quanti i quaranta/sessantacinquenni. Nuove generazioni che vogliono affrancarsi dai vecchi boss, ambiscono a fare carriera velocemente all’interno delle organizzazioni e fanno un uso indiscriminato della violenza. Il territorio dove più si tocca con mano questa situazione è Napoli: nei vicoli del centro e nelle strade della periferia è un susseguirsi di episodi “di ingiustificata ferocia”, di cui sono protagonisti boss ragazzini “espressione di una vera e propria deriva socio-criminale”. Adolescenti che con i loro gruppi tentano di prendersi il controllo del territorio e che però in molti casi finiscono per essere un esercito di riserva a disposizione dei clan “da impiegare nelle attività di spaccio alle quali partecipano persino i bambini”. E la trasformazione della cultura mafiosa investe anche il linguaggio. “Non tanto rispetto ai contenuti delle comunicazioni, sempre criptiche, e cariche di violenza, quanto piuttosto per gli strumenti social utilizzati, che consentono di aggregare velocemente gli affiliati”. Tutto ciò non significa che la vecchia mafia non esista più. Anzi. La ’ndrangheta resta sempre l’organizzazione criminale più potente d’Europa, saldamente in mano alle cosche storiche.